“Uno dei luoghi di Napoli che amo di più e che per me rappresenta tutta la città, l’idea e il ricordo che ne ho, la mia infanzia e la mia giovinezza, quel che so della natura e della bellezza, del mare e della bella giornata, è il Palazzo Donn’Anna che sorge all’inizio di Posillipo”. Così scriveva Raffaele La Capria, uno dei massimi scrittori del secondo Novecento, scomparso alla soglia dei 100 anni che avrebbe compiuto il prossimo 3 ottobre.
Il bel Palazzo tanto caro al pluripremiato autore, appare in tanti suoi pregevoli romanzi, a cominciare da “Ferito a morte”, suo capolavoro Premio Strega nel ’61, “Un giorno d’impazienza”, “L’armonia perduta”, “La neve del Vesuvio”, “L’occhio di Napoli”. Napoli per lui era metafora di vita, raccontata con sguardo disincantato e lucido, con la sua “armonia perduta”, i tanti volti, i vizi e le virtù. Contro gli stereotipi e i falsi miti “bisognerebbe tacere su Napoli e non parlarne più per lasciare che essa viva e respiri al di fuori delle nostre parole”, ha scritto.
Giornalista, scrittore, autore di radiodrammi, è stato anche co-sceneggiatore di diversi film di Francesco Rosi, tra i quali “Le mani sulla città” (1963) e “Uomini contro” (1970), collaborando anche con Lina Wertmüller alla sceneggiatura dei film “Sabato, domenica e lunedì” e “Ferdinando e Carolina”. Ha tradotto opere per il teatro di autori come Jean-Paul Sartre, Jean Cocteau, T. S. Eliot. I suoi amici di una vita sono stati Francesco Rosi, Giorgio Napolitano, Goffredo Parise, Antonio Ghirelli, Alberto Moravia, Ennio Flaiano, Peppino Patroni Griffi, Elsa Morante, Federico Fellini.
Nel suo bell’attico romano vicino al Pantheon, viveva con la compianta moglie Ilaria Occhini, la grande attrice, e con l’adorata figlia Alexandra che gli leggeva i suoi amati classici – altri compagni di una vita. A chi gli chiedeva quale fosse il segreto per attraversare con saggezza un secolo di storia lui rispondeva semplicemente “amare”.
L’adattamento teatrale di “Ferito a morte” aprirà la nuova Stagione del Teatro Mercadante di Napoli, per la regia di Roberto Andò e l’adattamento di Emanuele Trevi e sue opere saranno ancora celebrate nella città che portava nel cuore e che ha saputo così bene descrivere nella sua complessità, sfuggente, disarmonica, stratificata, imprevedibile.