Il World Press Photo arriva agli sgoccioli, dopo un mese di incontri, dibattiti sulla fotografia che hanno fatto respirare ancora una volta l’arte della luce a Villa Pignatelli a Napoli, sede anche quest’anno dell’esposizione mondiale, visitabile fino a domenica 7 gennaio.

Protagonista del giorno dell’Epifania è stato il fotografo napoletano Mario Laporta, ultimo ospite di varie letture pubbliche offerte a visitatori e appassionati, dopo i fotoreporter italiani Gianni Cipriano, Antonio Gibotta e Sergio Siano, e ovviamente il vincitore della rassegna 2017, il turco Burhan Ozbilici dell’Associated Press. È suo infatti lo scatto che ha vinto il concorso internazionale, una foto che ha segnato l’anno appena passato: Ozbilici immortalò l’omicidio terroristico dell’ambasciatore russo ad Ankara, nel corso di un vernissage sulla Storia e la cultura russa macchiato di sangue e di terrore. Mano ferma, urgenza di raccontare, sangue freddo e grande professionalità sono stati senz’altro i segreti del fotografo anatolico, presente a suo tempo all’inaugurazione del World Press Photo e per la prima volta a Napoli, come ebbe a dire ai giornalisti e alla stampa presente all’evento. L’assassinio di Andrey Karlov sconvolse l’opinione pubblica mondiale in quel lontano 19 dicembre 2016 e fu un atto di terrorismo, una barbarie cui seppe reagire Burhan come forse pochi avrebbero saputo fare, se non nessuno, data l’eccezionalità dell’accaduto.

Tra i vincitori del World Press Photo 2017 ci sono anche quattro italiani: tra questi è spiccato senza dubbio Antonio Gibotta, secondo premio Daily life con lo scatto Infarinati, che ritrae una singolare manifestazione in Spagna, dove ogni anno si inscena un finto colpo di Stato come se fosse un vero momento di guerra. Spazio anche per Francesco Comello terzo premio Daily life con Isola della salvezza, Alessio Romenzi terzo premio per la sezione General news con Non prendiamo prigionieri e Giovanni Capriotti, vincitore del primo premio per la categoria Sport sezione Storie.
150 le immagini esposte, con una forte predilezione per il racconto e la consueta attenzione alle più disparate sfumature dell’attualità sul nostro pianeta: la velocità degli atleti nello sport, sempre più protagonisti di un’epoca di tecnologie e progresso, quest’ultimo pagato a caro prezzo però tra cambiamenti climatici, distruzione dell’ambiente e sofferenza di specie animali terrestri e marine, come le tartarughe impigliate nelle reti di plastica, sempre più diffuse negli oceani – recente è la polemica tutta nostrana sui sacchetti biodegradabili – o i panda in Cina, in pericolo di estinzione per anni a causa della deforestazione del bambù.

Non sono mancate fotografie che documentassero le proteste dell’anno scorso, come quelle negli Stati Uniti d’America contro la polizia federale a causa degli omicidi di ragazzi neri nelle strade e; i tanti scatti di migranti soccorsi in mare nel Mediterraneo, teatro da anni di naufragi e traversate della morte dall’Africa verso l’Europa.
Intensi poi i racconti visivi della disciplina sportiva in Cina e della resistenza al micidiale freddo siberiano dei popoli abitanti della tundra, giunti alla giuria del Premio tra 80mila scatti provenienti da ben 5034 paesi in tutto, scremati poi al centinaio di opere mostrate nel corso di quello che viene sempre più definito un vero festival della fotografia mondiale.