Una nuova Medea appare in palcoscenico. La più celebre madre assassina torna a parlare agli spettatori dei suoi drammi, delle condizioni dell’umanità, dell’emarginazione subita in un mondo di uomini. Situazioni purtroppo non sconosciute nemmeno ai nostri giorni, nel terzo evoluto millennio.
Gianmarco Cesario unisce la storia di diverse rappresentazioni classiche della donna. Prendendo spunto soprattutto da Euripide e Seneca, “per costruire un lavoro di indagine psicologica, e cercare una nostra visione, senza rinunciare all’impianto tragico classico”.
Lo spettacolo sarà in scena al Teatro TIN di Napoli, dal 31 marzo al 2 aprile 2023. Con Rosalba Di Girolamo (Medea), Gianni Sallustro (Giasone), Nicla Tirozzi (Nutrice), Ciro Pellegrino (Creonte) e con i giovani attori dell’Accademia Vesuviana del Teatro e Cinema.

Il regista trasporta la tragedia su un’isola, che sia Lampedusa o un’altra, luoghi di sbarchi e dolore. “Nell’affrontare la mia regia, – spiega – ho preferito lasciare a lei la colpa del gesto infanticida, rifacendomi più al finale di Seneca che a quello di Euripide, perché l’orrore di quanto compie è comunque una conseguenza di un processo di emarginazione e ghettizzazione al quale lei non sa rispondere in maniera diversa, liberando definitivamente i figli dal suo stesso destino di reietta, e, sicuramente anche per colpire nel modo più atroce Giasone, fino a quel momento inconsapevole del dolore vero che ha causato. Un gesto certo non condivisibile, ma che sottolinea tutta l’umanità di questo personaggio, una femmina che è immersa in un mondo maschilista, che le ricorda continuamente, nelle figure maschili del coro, mutuato dalla versione senechiana, quanto la sua persona sia inadeguata al cospetto della società che la circonda, ma che trova solidarietà nelle figura femminili del coro (appartenenti alla versione di Euripide) che invece sembrano riconoscersi, silenziosamente in quel soffrire che loro non denunciano, perché totalmente assuefatte dalla legge degli uomini. Da qui la scelta di avvicinare Corinto ad una Sicilia senza tempo, in cui queste figure, intrise di sole sabbia e salsedine, non riescono a lenire le ferite delle loro anime, e, tra suoni ancestrali e il canto di brani popolari del repertorio di Rosa Balistreri, artista siciliana che sulla propria pelle scontò la colpa dell’essere donna in una terra di maschi, affrontano il dolore senza tempo delle loro progenitrici”.