Barbablù, in scena il primo femminicida

Redazione

Va in scena il primo femminicida della storia e della fantasia da noi conosciuti. Si tratta di Barbablù che Moni Ovadia dirige al Teatro Sannazaro di Napoli sabato 25 alle ore 21 e domenica 26 febbraio 2023 alle ore 18, nella scrittura di Costanza Di Quattro, con le musiche curate dallo stesso protagonista, Mario Incudine, eseguite dal vivo da Antonio Vasta.

Barbablù è un topos della cultura occidentale e non solo.- spiega Ovadia, che di tradizione se ne intende – Più e più volte raccontato a cominciare dalla favola di Perrault. La sua vicenda è stata rappresentata in molteplici forme artistiche. Questa volta la scrittrice e drammaturga Costanza Di Quattro ha scelto di rappresentarla con una scrittura intensa che alterna un’espressività cruda a momenti di lirismo nella forma di un monologo/confessione affidato ad un interprete prodigioso, Mario Incudine, che alterna la recitazione narrativa al canto, alle forme del cunto della tradizione siciliana di cui Incudine è maestro.

Una scena di “Barbablù”

La scelta di affidare ad un simile uomo di teatro il ruolo orienta l’impostazione registica. Sul palco insieme al protagonista un musicista, Antonio Vasta, un formidabile polistrumentista che incarna e riverbera nel suo agire musicale le emozioni, le pulsioni e i deliri e li restituisce incessantemente con una scarna ritualità. La scena è immersa in un clima “gotico” e le donne di Barbablù sono istallazioni/simulacri ideati da Elisa Savi a significare che il femminicida per antonomasia non può concepire l’identità femminile nella sua dignità, non può pensare una relazione con il mondo femminile ma solo sottomissione ad uno schema costruito da lui in modo ossessivo nel quadro del suo inopponibile dominio. Il flusso tumultuoso della confessione di Barbablù – che si concede talora all’intimismo di fronte alla memoria dell’unica donna amata, Iris, bellissima, dolcissima, sottomessa, perfetta, che cionondimeno lui uccide per averla sua per sempre – si alterna a tre momenti di straniamento attraverso i quali, uscendo di scena, il “mostro” si riconosce come tale e ci ammaestra sulla cultura che genera i Barbablù e continua a generarli.

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