Unica rappresentazione al teatro Verdi di Salerno per “Blackout”, prodotto da Teatro Studio, in scena il 5 marzo. Un corto circuito che nasce dall’incontro di due autori e di due attori molto diversi tra di loro. Andrea Manzi, giornalista e scrittore, autore della tragica ballata in versi “Castelvolturno, il ghetto” (tratto da “Morire in gola”), e Peppe Lanzetta, con parole “vecchie e nuove” hanno dato vita a un testo misto per raccontare la giornata di un extracomunitario, dedicandolo a Miriam Makeba, che proprio in un concerto sulla litoranea casertana, ha lasciato la sua vita.
Fianco a fianco sul palcoscenico Mariano Rigillo “esponente della grande tradizione attoriale, attento e misurato, sempre vicino allo spirito civile del teatro, fa da contrappunto alla carnalità di Lanzetta”, commenta il regista Pasquale De Cristofaro.
“Si tratta di un grosso impegno – dichiara l’attore – Quella di Andrea Manzi è una poesia forte e dura di grande nobiltà. E’ importante che si porti in palcoscenico, perché è necessario denunciare un problema molto vivo della nostra società, che resta tutto irrisolto”.
L’autore di “Opera di periferia” e “Malaluna” ricorda come “la negritudine” gli sia sempre appartenuta e, pescando tra gli scritti dei vent’anni e aggiungendo parole di oggi, riporta in vita il desiderio di cambiare le cose, con lo sguardo adulto. “Sono entrato cercando di non disturbare – dice Lanzetta – nel corpo dei versi di Manzi”.
Due attori in scena, separati nella lettura drammaturgica del testo, ma virtualmente uniti dai contenuti, per una messinscena che ha come “collante” la musica del maestro Paolo Cimmino, suonata dal vivo dal Musicateneo percussion ensemble di Salerno. Per sdrammatizzare la situazione, ma anche per calare lo spettatore in un mondo così diverso dal nostro, c’è la gioia dei colori e l’allegria delle coreografie della comunità senegalese, che vive nelle zone di Castelvolturno. Gli affollati pullman che ogni mattina portano decine di immigrati sui posti di lavoro, vagoni stipati di gente che va, che viene, che torna, per poi di nuovo andare, venire tornare, giorno dopo giorno, chiusa in “bare su gomma”, come li descrivono i versi di Manzi, sono rappresentati nelle immagini video di Michele Schiavino.
“Un percorso esistenziale, quattordici stazioni di una via crucis – spiega il regista – che chiede di essere urlata. In tempi tanto conformisti vogliamo ridare al teatro la possibilità di offrire una voce a chi ne ha sempre meno”. Un viaggio “struggente”, che Miriam Makeba e Pier Paolo Pasolini accompagnano come angeli custodi.
Poesia e teatro, dunque, s’incontrano in questo “kit” a più voci per allestire “la tragedia della xenofobia e l’orrore dei ghetti neri”. Un’operazione che intende restituire al teatro la sua funzione sociale e di denuncia, laddove la politica si mostra sempre più sorda. “La vera politica oggi – conclude Manzi – la fanno padre Zanotelli, Sant’Egidio, la rete di solidarietà”. Lo spettacolo, infatti, si chiude con la profezia laica di Pasolini che si augurava tempi migliori.