
Il Teatro Cerca Casa, nella storica dimora Santanelli, presenta “Maria D’Avalos – Canti d’amore e morte”, lavoro scritto, diretto, interpretato da Michele Danubio con Laura Borrelli. L’intenso spettacolo, che ha debuttato nella rassegna a Santa Maria Capua Vetere e Portici, approda a Napoli, per raccontare la nota e tragica storia. A Napoli, nel 1586, nella chiesa di San Domenico Maggiore si celebrano le nozze di Carlo Gesualdo da Venosa, suonatore di liuto, il più importante madrigalista del suo tempo e autore di musica sacra, stimato per la sua musica polifonica, con la bella cugina, la principessa Maria D’Avalos. Sono anni duri, di rivolte e grande divario sociale tra nobili e popolo, e i matrimoni tra notabili sono combinati. Maria, già vedova due volte, è costretta a sposare il cugino per impedire che il patrimonio ritorni nelle casse del Papato. Sfortunatamente, la donna si innamora del Duca d’Andria e Conte di Ruvo, Fabrizio Carafa, divenendone l’amante. Gesualdo, per difendere l’onore, farà uccidere i due amanti nel talamo, straziandone i corpi, poi gettati per strada. Da allora la leggenda vuole che il fantasma di Maria vaghi per la città. Bianca, cerea, alla luce di candela racconta la propria storia che si intreccia/confonde con quella di Napoli, “selvaggia e indiscreta”, con le sue rivolte, con troppi straccioni, troppe poche luci e mille ombre. “Mio caro Fabrizio – si interroga stralunata – ci pensate mai alla morte? Io si, e ho paura!”, afferma, presagendo l’oscuro destino. Troppo giovane fu maritata ad un uomo morto tra le sue braccia, per poi convolare ancora a nozze con Carlo intento solo ai suoi studi, marito assente. Alla sua voce si intreccia quella di Don Carlo, dalle nobili, elevate riflessioni sulla musica, “un pensiero che sale fino a Dio, che si fa sentimento dell’infinito”, una delle tre vie grazie alle quali l’anima ritorna in cielo. Può un musico, si domanda Maria, uccidere? Quella fatidica notte la musica stava piangendo dentro gli strumenti. Come si diventa dannati, si interroga Carlo, se non in una “votata d’uocchie”? Maria racconta lo strazio di quella notte, le tante coltellate, e persino il prete che abusò del suo corpo. L’autore sposa la storia secondo la quale Carlo avrebbe ucciso anche il figlio Emanuele. La morte è non potere più vedere l’amato Fabrizio che aspetterà nei secoli.

Bravi, intensi gli attori nel mettere in scena un testo rappresentato spesso ma, in questo caso, originale, molto sentito. Michele Danubio indossa un saio, è un penitente, in un attimo trasformato da santo a dannato e Laura Borrelli è di bianco vestita, fantasma e apparizione che non trova pace. Tra gli amici del suo cenacolo musicale Carlo Gesualdo ebbe Torquato Tasso che dopo l’omicidio gli revocò l’amicizia. Le vicende della coppia continuano ad essere fonte inesauribile per musicisti, registi, scrittori. La pièce di Danubio è un bel lavoro, ad un tempo apollineo e dionisiaco, come sottolinea Manlio Santanelli nel dibattito che sempre segue le rappresentazioni.