Carmine Borrino

Maresa Galli

Riporta in scena il suo Totò Crooner – un Otello principe di Bisanzio, reduce da fortunate repliche, al Positano Festival il 27 luglio nel borgo di Liparlati. Carmine Borrino, autore, regista e interprete della pièce, è accompagnato al pianoforte da Mariano Bellopede, che ha arrangiato in chiave swing le canzoni del principe della risata.

Borrino, come nasce l’idea?

“Dico subito che questo è un lavoro per me molto importante per diversi motivi. Innanzitutto perché per la prima volta suono in scena il mio strumento: la chitarra. Sono diplomato al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, ma non tutti sanno della mia preparazione musicale. Sentivo la necessità da tempo di esibirmi: questa è stata una bella occasione. L’altro motivo, pur esso significativo, è la “scoperta” che ho fatto di Totó. Non che non lo conoscessi già, è chiaro, ma non così approfonditamente, ho scoperto il miglior attore del ‘900 italiano. Il copione shakespeariano è un pre-testo per “drammatizzare” la passione fatale che il giovane Totò ebbe agli inizi della sua carriera con la sciantosa Liliana Castagnola: la morbosa gelosia, le malelingue, le incomprensioni, la violenza di genere, la tragica morte di una donna”.

Qualche anno fa lei ha messo in scena “Francischiello – un Amleto re di Napoli”, un lavoro apprezzato da pubblico e critica.

“Sì. In Totò Crooner, secondo studio shakespeariano, ho lavorato con lo stesso criterio. In questo caso, comparando la gelosia e la storia d’amore del giovane De Curtis con la gelosia e il rapporto che c’è tra Otello e Desdemona, alternando la poesia del bardo ai lazzi e al racconto della vita del principe de Curtis. Il tutto strutturato come una sorta di racconto radiofonico, dove le canzoni scandiscono il tempo della performance. Di pari passo va la drammaturgia musicale composta dal vivo con l’utilizzo di due loop station e tre microfoni. Chissà dove approderà, se mai approderà, questo spettacolo”.

Un po’ come la rassegna che l’ha appena ospitato “Teatro alla deriva”.

“Sì, magari su una zattera, una modalità che aiuta la suggestione del lavoro già di per sè poetico. Vorrei ringraziare pubblicamente la famiglia Colutta che sul territorio Flegreo è molto presente, nonché il direttore artistico Giovanni Meola, per il lavoro che sta svolgendo in una zona abbastanza povera di attività culturali; spero che questo Teatro alla deriva possa approdare sempre in luoghi magici come quello dei Campi Flegrei, che mi ha accolto con calore ed entusiasmo”.

 

 

 

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