Una Cecilia Lupoli in stato di grazia, stretta in un costume che ne esalta anche la bellezza. Guidata dalla regia suggestiva di Carlo Cerciello, porta in scena la sua Cassandra. E quando si è in grado di proporre una visione nuova dell’antico mito, è un piacere rivedere e ricordare le storie tramandate.
Questa Cassandra (dal testo di Christa Wolf), messa in scena da Carlo Cerciello nel suo Teatro Elicantropo, non è la figura disegnata da Omero, non è un’eroina bensì una donna di oggi, che aspira ad essere libera e a fare scelte personali, ad amare, ma il destino non cambia: resterà inascoltata e legata a legacci fortissimi che la tengono ferma, nell’inutile tentativo di svincolarsi dalla prigionia. E qui si riporta la parte biografica dell’autrice: la difficoltà di Cassandra di staccarsi dal Palazzo, riflette quella della Wolf nei confronti dell’ideologia marxista.
Con il suggestivo gioco di luci, una soffusa nebbia che a tratti nasconde la protagonista al pubblico, le musiche di Paolo Coletta, Cassandra racconta la sua storia, la guerra, la Grecia, gli Spartani, parla di Achille, Menelao e Clitennestra, del suo amore/attrazione per Enea.
E lo fa con una grinta e un piglio commuoventi e coinvolgenti, in quel suo urlare il desiderio di libertà, la disgrazia di non essere creduta, quel parlare a una comunità di ciechi che non vogliono nemmeno vedere. E si trasforma progressivamente in una dissidente. La città ormai maschile piega il femminile alle sue modalità di comportamento.
Nella performance l’attrice, unita al regista, raccoglie sentiti applausi per la prova forte, partecipata, a due passi dal pubblico, sistemato, nel piccolo spazio scuro del teatro, ai lati del corridoio che lei percorre illuminata di bianco o di rosso, senso del momento che sta esprimendo.
(La foto è di Guglielmo Verrienti)