Trent’anni di storia italiana visti attraverso gli occhi di tre ex partigiani, ricchi di grandi ideali, che alla fine della guerra si separano per ritrovarsi anni dopo: Gianni (Vittorio Gassman) è un cinico avvocato, che sposa per soldi Elide (Giovanna Ralli), figlia di Romolo (Aldo Fabrizi), palazzinaro romano. Nicola (Stefano Satta Flores), insegnante, coltiva la sua passione per il cinema, prigioniero delle sue illusioni. Antonio (Nino Manfredi), il meno ambizioso e il più impegnato politicamente dei tre, è portantino in un ospedale di Roma. I tre amici si innamorano della stessa ragazza, Luciana (Stefania Sandrelli), che sceglie infine Antonio, il più genuino del gruppo, ancora legato alle sue idee ed alla sua origine popolare.

“C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola (il titolo è puramente indicativo, incipit della canzone “Come pioveva” di Armando Gill) è un film italiano ambizioso, tentativo riuscito di raccontare trenta anni di storia, dagli entusiasmi e le speranze del dopoguerra fino alle delusioni degli anni Settanta. Con la sceneggiatura dello stesso Scola e di Age (Agenore Incrocci) e Scarpelli, il film narra le vicende dei protagonisti con una tenerezza e un’indulgenza che superano i limiti angusti della commedia all’italiana e sviluppa un’analisi psicologica e di costume che, con malinconica e spesso esilarante comicità, evita ogni intonazione patetica e fa emergere la condizione umana fallimentare dei principali personaggi.
Memorabili le interpretazioni di Manfredi e Gassman mentre Satta Flores, seppure strepitoso, non è al livello dei due “mostri sacri”, così come grandi sono le interpretazioni di Sandrelli, Ralli e Fabrizi.
Il film, dedicato a Vittorio De Sica (che, come Fellini, Mastroianni e Mike Bongiorno appare nel ruolo di sé stesso), è anche un omaggio alla grande stagione del neorealismo e al cinema italiano degli anni Cinquanta/Sessanta, di cui non mancano le citazioni, tra ironia e malinconia. Scola nel film alterna diversi registri narrativi e visivi, come il passaggio dal bianco e nero al colore dalla prima alla seconda parte, e il rivolgersi dei personaggi direttamente al pubblico, “fissando” negli occhi lo spettatore e rompendo la convenzione cinematografica di non guardare l’obiettivo.

Passato dietro la macchina da presa solo a metà degli anni Sessanta, Scola come sceneggiatore è, a tutti gli effetti, uno dei padri della commedia all’italiana, avendo partecipato alla realizzazione di film come “Il sorpasso”. Grazie anche alla sua ricca esperienza di sceneggiatore, matura una visione ed uno stile pieni di sfumature. Sempre attento nella ricostruzione di ambienti e periodi e nella direzione degli attori, superando presto la commedia all’italiana e muovendosi verso soluzioni narrative più complesse e una lettura politica della storia italiana, come in “C’eravamo tanto amati”. Scola, con le sue scelte registiche improntate alla libertà linguistica e narrativa, alla ricerca di sempre nuove strade stilistiche, è uno dei pochi rappresentanti di un cinema italiano di respiro europeo, che ha raccolto anche all’estero, in particolare in Francia, il favore di pubblico e critica.