Chille de la balanza

Anita B.Monti

Parla di “sana utopia”, di “bellezza”, di “possibilità” Claudio Ascoli, regista e direttore della storica compagnia teatrale Chille de la balanza, fondata nel 1973 con Sissi Abbondanza, aprendo il Teatro Comunque a Port’Alba a Napoli, luogo di sperimentazione e ricerca che ha fortemente segnato il periodo napoletano. Lasciata la città, il gruppo si trasferì nell’ex manicomio di San Salvi a Firenze nel 1997. Venti anni di residenza e oltre quarant’anni di attività sono raccontati nel volume Pazzi di libertà Il teatro dei Chille, edito da Pacini, un libro a più voci “per avere una visione e un linguaggio di generazioni diverse”. Firmano l’opera i critici Matteo Brighenti e Antonella D’Arco, gli studiosi di varie discipline, Pietro Clemente, Franco Corleone, Peppe Dell’Acqua, Carlo Orefice, i Pellicanò, dieci fotografi, ai quali si aggiungono numerose testimonianze. La prefazione è di Giulio Baffi.

La presentazione si terrà giovedì 31 gennaio 2019, alle ore 17,30 al Palazzo delle Arti di Napoli. Parteciperanno Nino Daniele, assessore alla cultura del Comune di Napoli, i giornalisti Stefano De Stefano, Angela Matassa, Giulio Baffi, gli autori Antonella D’Arco e Matteo Brighenti, Claudio Ascoli

Claudio, il titolo sembra un ossimoro.

“In fondo siamo pazzi, ma positivi. Mettiamo in gioco la vita, quindi abbiamo bisogno di libertà”.

Vi definite un fenomeno teatrale. Perché?

“Perché stiamo insieme da oltre quarant’anni, perché da venti siamo una residenza teatrale e luogo di produzione. Per di più, in un manicomio. E’ di per sè un fatto epocale. San Salvi – oggi città aperta – è un pezzo istituzionale restituito alla città, grazie all’entusiasmo e all’intuito dell’ultimo direttore Carmelo Pellicanò, che volle dare vita a un presidio culturale. Quando entrammo pensavamo che ci fossero altre realtà simili, invece scoprimmo che eravamo gli unici. Le esperienze in altre città d’Italia erano parziali. In più, noi siamo napoletani, abbiamo il senso del tragico e una gran voglia di vivere che rende possibile l’impossibile e tuffarsi in un’avventura. Nella nostra città non è stato così.

Che rapporto avete con i giovani?

Il viaggio Artaud Van Gogh (foto di Massimo Agus)

“Il sessanta per cento dei nostri spettatori ha meno di trent’anni e sono tanti i nostri allievi, ci consideriamo un cantiere. Qui i ragazzi si sentono a casa, perché lavoriamo con la logica del gruppo. L’invito che faccio alle nuove generazioni è quello di non fermarsi, di andare fino in fondo alle proprie idee. E mai da soli, altrimenti non si fa nulla e non si lascia traccia. Riflettendo, anche noi degli Anni Settanta e Ottanta, con i dovuti cambiamenti, non abbiamo tradito i temi e gli ideali”.

Non a caso, il libro esce a quarant’anni dalla legge Basaglia. Che cosa è cambiato in questi decenni nel teatro e nella malattia mentale?

“Il senso di comunità degli inizi oggi non c’è più. Siamo tutti molto più soli. Tanto bravi a parlare, ma poco ad ascoltare. Siamo più vicini agli Anni Trenta che ai Settanta. C’è paura come nel dopoguerra. Le persone si isolano e non comprendono di che cosa si parla, neanche a teatro. Dovremmo riuscire tutti a comunicare creando relazioni contro questa diffusa solitudine e contro il timore del giudizio. Ci sono nuovi tabù e nuove malattie mentali. Viviamo in una situazione delicata. E’ necessario agire, facendo il proprio lavoro, per morire da vivi”.

Ogni Guerra è una guerra civile. Pavese (foto di Massimo Agus)

Oltre che con il libro sarete qui con uno spettacolo. Quale?

L’amore è il cuore di tutte le cose, liberamente ispirato a un autore che amiamo: Vladimir Majakovskij. Saremo in scena dall’1 al 3 febbraio al Nuovo Teatro Sanità, un luogo particolare, dove abbiamo trovato compagni di percorso”.

Un’idea per Napoli?

“Sarebbe bello riuscire a mettere insieme i napoletani sparsi nel mondo e che per un giorno raccontassero la propria storia per lanciare spunti ai giovani nelle diverse arti”.

 

 

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