Che gli dei dell’Olimpo greco fossero allegorie della condizione umana era abbastanza noto, e a ricordacelo ci pensa anche il libro di Madeline Miller dedicato a una delle figure più conosciute e controverse della mitologia greca e di tutta la letteratura classica: Circe, dea, ninfa, poi maga o forse strega nelle interpretazioni successive.
La figlia di Elios, dio del sole, rivive come semplice donna nello spettacolo tratto dal romanzo della Miller, adattato da Rosalba Di Girolamo e Annamaria Russo, e diretto da quest’ultima. “Circe” è andato in scena il 23 e 24 luglio scorsi al Real Orto Botanico di Napoli per la rassegna “Brividi d’estate 2022”, presentato in prima assoluta da “Il Pozzo e il Pendolo” e interpretato dalla stessa Di Girolamo e da Lorenzo Sarcinelli. Due soli attori alle prese con gli innumerevoli personaggi del mito greco: per Sarcinelli la prova parte dagli spocchiosi fratelli divini di Circe, passando per i mortali Dedalo e Glauco fino all’amato Odisseo e ai suoi due figli, Telemaco e Telegono, quest’ultimo concepito proprio con la maga del Circeo. Nelle sue fogge classicheggianti l’intensa Di Girolamo si confronta principalmente con la Dea che trasformava gli uomini in maiali, – come insegna l’Odissea – ma è pronta anche a scatenarsi sulle note dei Led Zeppelin nella mostruosa Scilla, la ninfa da lei trasformata per gelosia di Glauco, o nella perfida dea Atena, fino alla “quasi” rivale Penelope, moglie dell’eroe omerico, in un gioco di specchi e riflessi offerto dall’ottimo allestimento sul palco.

Tra i telai Circe si aggira dolente ma allo stesso tempo pervasa da uno slancio vitale, da un desiderio d’amore umanissimo prima per gli anaffettivi genitori divini, e poi per i vari uomini (sbagliati) incontrati sul suo cammino. Una mortale ingabbiata nelle maglie dell’immortalità divina, che vorrebbe solo essere amata, compresa come ogni donna che vive di palpiti ed emozioni, di sentimenti laceranti e passioni che bruciano la carne.
Costretta a un eterno lockdown imposto dalla sua condizione immortale, più croce che delizia per lei che vorrebbe essere libera come l’ingegnoso Dedalo, la Circe della Di Girolamo è una donna attualissima, umiliata dal patriarcato divino e dai suoi amanti, desiderosa d’amore coniugale e poi di quello materno, grazie al figlio avuto con Ulisse nel suo soggiorno all’isola di Eea. Telegono, fratellastro di Telemaco e sorta di nuovo Achille per le condanne del fato e i moniti dell’astiosa Atena, rappresenterà forse la sua salvezza, sia nel compimento del sogno di madre che in quello di diventare finalmente una mortale a tutti gli effetti.
L’eroina della Miller è una maga, ma nel senso più persiano ed ellenico del termine “sacerdote”, e se appare come un mostro talvolta, anche qui andrebbe osservata nel significato primigenio di “monstrum”: prodigio, meraviglia. Circe è una femminista ante litteram, con coraggio da vendere, capace di trasformare gli uomini in bestie solo ed esclusivamente per legittima difesa.