S’intitola proprio La finestra sul cortile, come il celebre film del 1954 diretto da Alfred Hitchcock nel 1954. Un uomo bloccato in casa da una frattura alla gamba, un binocolo che lo spinge a curiosare nelle case
altrui, la morbosità ossessiva di scoprire segreti e delitti. E’ la trama del racconto omonimo di Cornell Woolrich, cui la pellicola si ispira. Ma per la messinscena teatrale di Claudio Di Palma, autore, interprete e regista al teatro Nuovo di Napoli fino al 24 marzo, ha utilizzato anche alcuni scritti di George Simenon, da cui ha preso anche lo schema del giallo. Con lui in scena, infatti, c’è solo l’ispettore di polizia (Andrea De Goyzueta) che indaga sul delitto. Ma qui, invece della finestra di un comune condominio c’è il grande monitor di un computer che, in maniera moderna e tecnologica, indaga, scruta, s’intrufola nelle vite degli altri, vicini e lontani. Tutti gli altri personaggi appaiono soltanto in video.
Di Palma, ha realizzato uno spettacolo che tratta di voyerismo?
“No, si tratta piuttosto dell’abitudine spesso morbosa di guardare nelle vite degli altri, senza essere visti, ma ho trasferito tutto in una dimensione virtuale. Il protagonista, un professore di fisica in congedo, sceglie a un ceto punto della sua vita, di chiudersi in casa e di utilizzare la finestra del computer come unico mezzo di contatto con gli altri. Ruba sguardi, sentimenti, piccole e grandi intimità, sentendosene partecipe e padrone. Riesce a interloquire con loro attraverso il pc, che diventa un moltiplicatore di vicinanza. Scopre la possibilità di incidere direttamente nella vita di coloro che osserva di nascosto e scopre un assassinio. Come dice il protagonista ‘siamo tutti ammalati videoterminali”.
Il testo affronta altri argomenti?
“La cifra dello spettacolo è legata al tema dell’isolamento e del buio, quindi della solitudine. Qui non c’è una Grace Kelly da mostrare, ma c’è un personaggio femminile, la prostituta rumena, vittima dell’omicidio”.
Ha quindi usato lo stile del trhiller?
“C’è la struttura da giallo, ma le persone che agiscono ampliano l’indagine fino a raggiungere una dimensione che riguarda il pensiero, la filosofia. Si riflette sul fatto che il computer può perfino consentire di mutare identità, quasi come attori, chiunque può fingere senza essere scoperto. Il che dà un senso di fastidio, ma nello stesso tempo di eccitazione”.
Intende lanciare un messaggio?
“Io non ne do. Ma ce ne potrebbero essere tanti. M’interessa piuttosto capire se c’è una specularità, rispetto all’animo e alle tendenze degli uomini, se qualcuno riscontra qualcosa che lo riguarda. Il protagonista, che non ama essere definito spione, dice di ricercare la grazia che si può trovare solo nelle azioni osservate di nascosto, nella naturalezza del gesto”.
Ma lei è favorevole o contrario a quest’uso eccessivo della tecnologia?
“Penso che non se ne possa più fare a meno, ma credo che abbia portato alla mancanza di coscienza critica. Per le nuove generazioni potrebbe essere una grande sfida: ritrovare il senso critico attraverso i moderni mezzi di comunicazione, una capacità di sintesi e di conoscenza”.
Caravaggio, Shakespeare, Borsellino sono alcuni dei ruoli che ha interpretato. Quale tema le interessa particolarmente nel suo lavoro di attore, autore e regista?
“Certamente quello della solitudine m’intriga, intesa non come isolamento dagli altri, né come atteggiamento snob, ma di quella dimensione necessaria alla creatività”.
Ha altri progetti in questo momento?
“Attualmente è in tournée l’altro mio spettacolo “Capitan Fracassa” interpretato da Lello Arena”.