
“La mia Holly non ha niente a che vedere con quella di Haudrey, – dichiara Francesca Inaudi – ho lavorato sui riferimenti alla Monroe, di cui ho studiato la filmografia, per cercare somiglianze con la protagonista, ma è il personaggio ad avere il sopravvento, prende corpo un po’ alla volta, non è definibile, come non lo è Holly. Il lavoro teatrale va in una direzione molto diversa da quello cinematografico, non c’è da aspettarsi somiglianze”.
L’attrice, volto caro al pubblico per la partecipazione alla serie televisiva di Rai Uno “Tutti pazzi per amore”, a “Distretto di polizia” per Canale 5, ai film “Dopo mezzanotte”, “La bestia nel cuore”, “Noi credevamo” di Mario Martone, è la protagonista di Colazione da Tiffany, in scena al teatro Diana di Napoli dall’1 al 12 febbraio, per la regia di Piero Maccarinelli. Infatti, lo spettacolo s’ispira al racconto originale di Truman Capote e non al celebre film di Blake Edwards con una mitica Audrey Hepburn e George Peppard.
Maccarinelli, che operazione avete compiuto sul racconto autobiografico dello scrittore americano?
“Abbiamo voluto recuperare il suo spirito. Il giovane Truman era alla prese con i suoi dubbi, l’omosessualità latente, la figura della madre, l’incontro con una giovane ragazza che trasformerà la sua vita”.
E’ cambiata anche l’ambientazione o siamo ugualmente negli Anni Sessanta?
“L’azione si svolge su due binari: nel periodo del conflitto mondiale, come aveva immaginato l’autore, e nel 1957, quando fu scritto il libro”.
Come ha impostato la regia?
“Come una lunga sequenza cinematografica, su una scena a incastro. Il ritmo è molto veloce e i cambiamenti repentini. In questo modo si passa facilmente dagli esterni agli interni, grazie al gioco di luci. Così, ci troviamo nel grande condominio nell’East Side, in cui vanno e vengono visitatori e abitanti, il bar sulla strada.
Su quali temi puntate, l’amore, la vita di allora, la gente?
“Negli Anni Sessanta non si poteva parlare apertamente di omosessualità sia maschile che femminile, che nel racconto trovano invece ampio spazio, noi recuperiamo il testo originale. Anche i luoghi sono quelli citati nel libro, ristoranti, negozi, Tiffany erano i preferiti della mamma di Capote, che era una presenza molto importante per lui. Pare che proprio Nina Capote, detta Lilli Mae, sia stata l’ispiratrice del personaggio di Holly: ha lo stesso passato, come lei attraversa la vita in punta di piedi con stile leggero, malinconico e irresistibile”.
E’ quel romantico finale sotto la pioggia?
“La scena della ricerca del gatto e il giro in taxi nel libro non c’è. Noi chiudiamo in modo più sospeso e doloroso, come volle Capote.
Insomma, un omaggio al giovane geniale artista, che dalla provincia approda a New York divenendo un celebre scrittore, graffiante, amaro, brillante.
“Sì. E gli incontri sono stati importanti per la sua formazione e la sua crescita. Più che mai la bella fanciulla, che gli insegna la leggerezza e l’accettazione degli altri e di sé e che nella fantasia diventa Holly”.
Raccontiamo lo spettacolo.
“Lorenzo Lavia – narratore/William/Truman – accompagna il pubblico nella vicenda. S’inizia nel 1957, ma con i continui flash-back si torna al 1943 e viceversa”.
Costumi e scenografia sono ispirati agli Anni Quaranta?
“Sì. Come le parrucche della protagonista. Capote amava Marilyn Monroe e non ha mai compreso né condiviso la scelta della Hepburn, per quanto indovinata e ben riuscita”.
In scena una compagnia piuttosto numerosa, con i protagonisti recitano Mauro Marino, Flavio Bonacci, Anna Zapparoli, Vincenzo Ferrera, Giulio Federico Janni, Cristina Maccà, Ippolita Baldini, Riccardo Floris, Pietro Masotti.
“Volevamo rappresentare i personaggi più significativi della storia, molto caratterizzati fisicamente, come si usava nella commedia americana: il fotografo, il barista Joe Bell innamorato dalla piccola Holly, il miliardario nazista, l’agente, l’amica fotomodella, la cantante pettegola. Quanto a Francesca è molto diversa dalla Hepburn, ma come lei ha una forte personalità, la capacità di giocare con la leggerezza e di restituire l’immagine di Marylin tanto cara a Capote”.