
“Penso che per aiutare Napoli, bisogna credere in lei e impegnarsi a lavorare qui. Restare e non scappare via, abbandonandola”. Biagio Izzo, in scena all’Augusteo di Napoli dal 25 ottobre e poi al Cilea con Esseoesse che interpreta (con Francesco Procopio) e dirige, parla di investire sulla città. “Io non lascerò mai Napoli, abbiamo il diritto di vivere nella nostra città e nessuno può costringerci a lasciarla. Siamo combattuti tra la voglia di trovare riparo dalle preoccupazioni, ma è il luogo della vita reale che poi ci manca. Sappiamo che possiamo vivere senza cellulari, senza tecnologia, magari tornando alla campagna, ma poi ne sentiamo il bisogno. E’ questo il tema dello spettacolo la voglia di trovare un po’ di pace, “ma ‘na pace senza morte”, come scriveva Eduardo”.
Come si svolge lo spettacolo?
“Racconta le vicissitudini di due amici partiti da Sharm El Sheikh per un’escursione alle Piramidi su un piccolo aereo che sorvola il Sahara ed è costretto a un atterraggio di fortuna. Il protagonista si ritrova solo nel deserto e si rifugia in un’oasi, finalmente un luogo rassicurante ma troppo distante dalla realtà in cui è abituato a vivere. Gli impegni di lavoro, la famiglia, gli affetti, tutto gli manca, anche il peggio del peggio che maledice tutti i giorni. A causa di un colpo di sole, però, comincia a vedere ombre e figure, ma vive anche incubi, allucinazioni e miraggi. L’amico, da cui spera di essere salvato, gli appare come mille personaggi diversi”.
Da che cosa nasce il testo?
“Dalle chiacchiere che sento per strada, da quello che mi dice la gente. Ascolto molto le persone e dalle loro reazioni nascono le idee per i testi. Questo è una metafora sullo scontento generale. Parto dalla mia città, ma è un discorso che si sente fare dappertutto. In una battuta dico: “Questo Paese nuoce gravemente alla salute”. Come le sigarette, che riportano la scritta che avverte, ma vengono comunque vendute e noi le compriamo”.
Alla fine il messaggio è positivo?
“Sì, come sempre. E’ un inno alla vita. Il protagonista crede di essere morto e di aver trovato la pace, invece quando si accorge di essere ancora vivo, si rende conto che la morte è nella vita e nei veleni quotidiani, nelle richieste del governo, nelle tasse, nell’iva, nella Terra dei fuochi”.
Quali altri progetti ha in cantiere?
“A febbraio debutto in “Come un Cenerentolo”, in scena all’Augusteo e al Diana, con Peppe Barra, Teresa Del Vecchio, Marco Coliandro, Francesco Procopio. E’ una commedia sulle adozioni, non è una parodia, ma ha punti in comune con la favola”.
La vedremo al cinema o in televisione?
“Per gli impegni teatrali sono riuscito a fare solo due apparizioni cinematografiche, anche il film con Boldi è rimandato all’anno prossimo. Quanto alla televisione, m’interessa poco. Mi piacerebbe, invece, puntare alle emittenti locali, magari con un programma di respiro nazionale ma, tornando al discorso del territorio, per fare qualcosa per Napoli anche in questo senso. Non mi sembra affatto limitativo”.
Una carriera in crescendo. A che cosa la deve secondo lei?
“Al sostegno della gente. Avverto che mi vuole bene. Le persone mi fermano per strada, firmo autografi e fotografie, mi offrono il caffè. Mi considerano uno di loro: e questa è una forza per me”.