Criminali nel Porto di Napoli

Angela Matassa

Portare il cinema in palcoscenico non è mai facile, che sia tratto da un romanzo oppure da un copione traformato in sceneggiatura. Fronte del porto è uno di questi casi. E non è semplice nemmeno per nomi come Alessandro Gassmann e Daniele Russo. Naturalmente va dimenticata la celebre pellicola cui fa riferimento lo spettacolo (On the waterfront del 1954 di Fritz Lang, vincitore di otto premi Oscar) e il suo mitico interprete (Marlon Brando): il cinema è un’altra arte. Fronte del porto, in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 25 novembre, non risponde alle aspettative. La traduzione e l’adattamento di Enrico Ianniello, che traspone l’azione negli Anni Ottanta a Napoli, quando dominava la Nuova Camorra Organizzata, non convince: di malavita, prepotenza, violenza e sopraffazione in termini ‘realistici’ si parla anche troppo. Non è compito del teatro. E la lunga sequela di parolacce non disegna la figura del boss meglio di un atteggiamento deciso e autoritario. Pertanto, la storia del protagonista Francesco Gargiulo, lavoratore nel porto partenopeo con un gruppo di ‘morti di fame’ come lui, vessato dalla criminalità, innamorato della sorella dell’amico ucciso, diviso tra il parroco Don Bartolomeo, che lo spinge sulla strada della denuncia e il fratello, contabile del capoclan, risulta scontata.

Le scene, che cercano di collocare l’azione in ben venti località, proiettate tra i due blocchi di cemento che limitano il porto, ricordano i fondali dipinti di un tempo, realizzati con la moderna tecnologia. Per creare suggestione, sarebbero bastate la prima (quella dell’omicidio di una vittima del clan) e l’ultima, quando Gargiulo si avvia lontano, dopo essersi ‘riscattato’ dalla paura e dal tormento. Anche in “Qualcuno volò” Alessandro Gassmann, curatore delle scene, usò proiezioni tridimensionali nello spettacolo, rendendo riconoscibile il suo stile.

Una scena con Daniele Russo e Francesca De Nicolais (foto di Mario Spada)

Daniele Russo esprime il prima e il dopo della condizione del protagonista, soprattutto nell’atteggiamento: curvo inizialmente per indicare il disagio, l’indecisione, il tormento; eretto invece nel finale, in seguito alla ribellione, in  nome della libertà.

Belle le luci di Marco Palmieri e le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, che ben scandiscono i diversi momenti dello svolgimento.

Nella numerosa compagnia si distingue Ernesto Lama, nel ruolo del boss Giggino Compare, padrone della voce, dei toni e delle pause.

Pubblico diviso alla ‘prima’: molti spettatori sono andati via prima della fine, l’altra parte ha apprezzato e applaudito.

 

 

 

 

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