Dedicato a Mimì

Redazione

Il sogno di Mimì / Suite per un’anima, dedicato a Mia Martini sarà in scena al Thèatre de Poche dal  3 al 5 e dal  9 all’11 febbraio

Cristina Messere e Caterina Pontrandolfo in scena

2012. Scritto, diretto e interpretato da Caterina Pontrandolfo e Cristina Messere, vede sul palco anche i musicisti/arrangiatori Elisabetta Serio al pianoforte e Ernesto Nobili alla chitarra classica. Lo spettacolo nasce dalla passione comune per la storia di Domenica Bertè, in arte Mia Martini, affettuosamente chiamata Mimì, morta nel 1995 a soli 47 anni in circostanze ancora velate di mistero.

Che tipo di messinscena avete immaginato?

“Ora il canto, ora la narrazione, ora l’azione performativa restituiscono i nodi emotivi di Mimì. La sua vicenda personale e la sua biografia fanno un tutt’uno con il suo enorme talento vocale, e l’accomuna ad altre cantanti che hanno affidato alla propria voce le sfumature delle inquietudini e delle rabbie, dei tormenti e delle passioni, delle felicità e delle tenerezze: da Edith Piaf a  Billie Holiday, a Gabriella Ferri, Amalia Rodrigues, Janis Joplin. Artiste che hanno in comune quell’intendere la voce come un luogo dell’anima. Vite spesso spezzate, irrisolte, infelici, libere e liberate a volte solo nel canto”.

Che cosa vedremo sul palcoscenico?

“Pochi oggetti scenici,  tre armadi/contenitori  che delimitano lo spazio di una stanza/limbo, due donne, due anime femminili, si rimandano il racconto di un’unica esistenza divisa tra la profonda esigenza del canto e le dure regole dello show-business. Si sdoppiano e raddoppiano il segno, e frammentandosi danno unità alla presenza. Sono Mimì, la bambina e l’adulta, la donna e la cantante, la madre e la figlia, l’una sorella dell’altra, in una stanza della memoria che gioca con il tempo: dall’infanzia alla morte e viceversa, dalla potenza della voce alle sue assenze, ai clamorosi ritorni segnati da eclatanti rinascite. Come un’araba fenice. Il sogno di cantare, il debutto giovanissima, il periodo yè-yè e gli anni ’70, una famiglia di sole donne e il difficile rapporto con la figura paterna, la breve ma devastante esperienza del carcere, tutto questo è raccontato nella messinscena che cerca di dare spazio a tutto l’universo dell’artista. I Premi numerosissimi, e un primo allontanamento dalle scene, e poi il ritorno, e di nuovo l’assenza per lunghi anni fino al trionfo morale dell’ ‘89  a Sanremo, con  la memorabile esecuzione di “Almeno tu nell’universo” , che alle 16.30 del 12 maggio 1995, giorno del suo funerale in una nebbiosa cittadina del Nord, venne trasmesso in contemporanea da tutte le radio nazionali. I successi all’estero, l’Olympia con Aznavour. Ma anche il mare dell’infanzia di Bagnara Calabra, il figlio desiderato e non avuto da quell’unico devastante rapporto d’amore con Ivano Fossati, l’assurda calunnia di menagramo che il mondo dello spettacolo, con una crudeltà degna di nota, aveva fatto sua fino al punto da emarginarla e da indurla a rinunciare per un lungo periodo all’unica cosa che le dava da vivere”.

Quali canzoni avete scelto?

“Soprattutto quelle di cui è stata autrice ma anche quelle composte per lei dai massimi autori  italiani e quelle del periodo napoletano quando incontra Enzo Gragnaniello. Napoli spazza via come un vento le calunnie e, secondo una vera e propria nèmesi, lei, additata ed emarginata come iettatrice di pirandelliana memoria, diviene la beniamina e il portafortuna della squadra di calcio”.

 

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