Dionisio: “Il mio canto d’amore per Napoli”

Angela Matassa

E’ un momento “fattivo” per Sandro Dionisio in questo periodo. Musicologo, regista, sceneggiatore, docente e drammaturgo, è impegnato in diverse delle arti che frequenta di solito.

Ci racconti, Dionisio.

“Ho appena concluso la realizzazione di un videoclip con Mario Acquaviva, una ballata struggente, dedicata alla scrittrice Mariateresa Di Lascia , purtroppo scomparsa, che porta il suo nome. Il cantante lancerà da qui un album omonimo. Quindi, è in post-produzione un documentario sulla scena artistica degli Anni Settanta e Ottanta, nata a Napoli. Parliamo di Napoli Centrale, James Senese, Tony Esposito, artisti che giustamente hanno varcato i confini napoletani. In una seconda parte ho inserito le testimonianze di altri illustri esponenti della cultura quali Domenico Ciruzzi, Girolamo De Simone, Alan Sorrenti, Eugenio Fels. Insomma, i rappresentanti del fermento di quegli anni, il mondo delle avanguardie che veniva dalla nostra città. E’ interpretato da Davide Raffaello, con la troupe composta dai miei giovani allievi”.

A teatro, invece, giovedì 2 febbraio, debutta “Personaecore” al Ridotto del Mercadante. Di che si tratta?

“Il mio è un canto d’amore disperato e forse improbabile, che si eleva in un ambiente poco convenzionale, come una Asl, luogo in cui i pazienti fanno teatro, come succede sempre a Napoli. Voglio raccontare la moraviana ‘bellezza della malattia’, cui siamo pronti dopo la pandemia. Lo dedico alle persone fragili in un mondo manipolatorio. Nell’ambiente domestico tragicomico, infatti, ho inserito come sottofondo, il rumore della televisione”.

Il testo è in napoletano?

“E’ su due registri: il primo è recitato in un dialetto parlato, privo di musicalità, la seconda parte è invece in versi in lingua aulica, con cui vorrei rappresentare l’anima che si eleva. Chiude il “Monologo degli angeli”, recitato in voce da Nadia Carlomagno, un regalo per me, come l’interpretazione di “Dicitincello vuje” cantata da Pietra Montecorvino”.

Lei è rimasto a lavorare a Napoli. Come vive questo rapporto?

“E’ una città tiranna, che lascia orfani i suoi artisti, con serena indifferenza. Anch’io lo sono, anche se oggi mi sento pacificato perché mi rendo conto che non riguarda solo me, ma è una lunga storia di ferite antiche: pensiamo a Vico, alla Ortese. Ho deciso di restare, per sciogliere il mio disagio in un canto d’amore. E’ complesso spiegarlo, ma è bello sentirla pulsare nel corpo”.

Ha insegnato per dieci anni all’Accademia di Napoli, ora è a Firenze. Come reagiscono i ragazzi nei confronti delle arti, sono interessati, si sentono attratti?

“Ricevo dai giovani un feedback di bellezza, mi seguono e io li adoro. Vogliono un mentore che li guidi e, nonostante quel che di solito si dice, e nonostante l’invasione della tecnologia, mostrano un bisogno di conoscenza. Porto loro una sapienza che è stata marginalizzata e i lavori dei miei maestri: Neiwiller, De Berardinis, Carmelo Bene, Pinter, parlo di Pino Daniele, di Falso Movimento, un lungo elenco di creatività. E loro ricambiano, con i tanti premi che hanno ottenuto per i lungometraggi che realizzano”.

Vorrebbe fare un appello a chi legge?

“Sì, volentieri. Sento il bisogno che gli intellettuali creino una cordata, perché Napoli necessita di un pensiero a lei dedicato con passione. Così si dà un contributo anche alle nuove generazioni e alla loro crescita”.

(La foto è di Sergio Siano)

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