Mentre in Italia l’argomento della disabilità al cinema è quasi sempre edulcorato o filtrato attraverso schemi buonisti e rassicuranti, all’estero si osa un po’ di più e viene trattato anche uno dei tabù che purtroppo circonda ancora il mondo dei diversamente abili: la sessualità. Se nel 2012 ci pensò “The Session” ad esplorare il tema con gli incontri tra un tetraplegico poliomielitico e una terapista del sesso, quest’anno esce in sala il 28 luglio “Vieni come sei”, commedia agrodolce americana del 2019 diretta da Richard Wong, presentata in anteprima il 26 luglio al Cinema Tiziano di Roma.
Il titolo indubbiamente ammicca nel suo doppio senso, e il giudizio espresso da Variety, leggibile in basso sulla locandina ufficiale, potrebbe far pensare al tipico B movie americano o a un film di Judd Apatow. Sebbene imperfetta, questa pellicola ha però il pregio di raccontare una storia di amicizia, scoperta di sé e crescita personale con l’espediente del road movie di formazione. I protagonisti si avvicinano un po’ grandicelli alle loro prime volte, chi sui vent’anni e passa e chi sui 35 addirittura: complici la voglia di fuga dalla routine, dai genitori apprensivi e opprimenti, e soprattutto il desiderio di dare libero sfogo a tutte quelle fantasie e alle pulsioni che si traducono solo in frustranti erezioni mattutine.

L’idea di oltrepassare il confine canadese per raggiungere una casa del piacere riservata ai diversamente abili viene al più scafato dei tre, Scotty, un tetraplegico con la passione della musica rap, seguito a ruota dall’asiatico Matt, soprannominato “bicipiti” per il suo passato atletico precedente la sedia a rotelle, e all’ipovedente Mo, quest’ultimo tenerissimo e un po’ grillo parlante del gruppo. A condurli verso Montreal si occuperà l’infermiera afroamericana Sam, una ritrovata Gabourey Sidibe dopo la nomination all’Oscar come migliore attrice più di dieci anni fa per il suo debutto in “Precious”, qui però ironica e irresistibile dopo i toni cupi del film che la lanciò.
Il viaggio non sarà privo di disavventure, ostacoli ed equivoci nel segno del politicamente corretto, e lascerà lo spettatore leggermente stordito al finale. Tratto dalla storia vera di Asta Philpot, quest’opera è un invito alla libertà e al diritto di godere dei piaceri della vita: diversamente abili, in fondo, non significa asessuati. Un concetto ancora molto difficile da capire oggi.