Al teatro Bellini di Napoli dal 2 al 4 dicembre andrà in scena Pro Patria – senza prigioni, senza processi, scritto, diretto e interpretato da Ascanio Celestini. “In questo spettacolo il mio monologo diventa rappresentativo, – spiega l’artista noto per il suo teatro di narrazione – ha una leggera drammaturgia, un gioco di luci, costumi e alcuni oggetti scenici, ma si tratta pur sempre di un racconto. Il protagonista è un detenuto, mi muovo in uno spazio è di due metri quadrati, c’è un fondale con alcune immagini, ritagli di giornali e manifesti di uno spettacolo. Un palco diventa un piccolo prato artificiale, su cui lui fa le prove di un discorso, che dovrà tenere agli ‘erbivori’, i suoi compagni reclusi”.
Il testo parla di eventi storici piuttosto che di operai o soldati come in tanti precedenti lavori ma ha comunque una finalità letteraria. “Non è un modo per rileggere i fatti con occhi diversi o per comprendere meglio il presente”, precisa.
Il protagonista è un carcerato dei nostri giorni che dialoga con Giuseppe Mazzini, due compagni di cella, un secondino, un immigrato africano. I temi sono il Risorgimento “ma quello vero, nato con la Repubblica italiana dopo la seconda guerra mondiale, non quello che si celebra. – spiega l’autore – I repubblicani sono stati considerati dei terroristi, anche Mazzini fu costretto alla latitanza. Poi c’è il carcere e dell’assurdità di quest’istituzione senza giustizia. Altra tematica toccata. “Ma che cos’è la giustizia? Lo sappiamo? E’ tuttora un argomento intoccabile”. Ci sono poi gli Anni Settanta, la lotta armata, la questione dei conflitti tra generazioni e l’incontro con il padre, scomparso da poco.
A Mazzini, padre spirituale, pone tante domande: quand’è che avete capito che era finita? Quando finisce la rivoluzione? Ma lui non risponde. “Non può perché noi non possiamo. Come diceva Pasolini, non abbiamo prove, delle stragi misteriose che hanno segnato la storia recente, per esempio, che cosa sappiamo? Sono i nostri incubi e nessuno chiarisce niente. La politica risponde alle proprie domande.
Quando è finito il comunismo? Con la caduta del muro? Che c’entra Monti con la democrazia? Forse aveva ragione Cavour che affermava che la politica non è la relazione ai cittadini”. Dunque gli interrogativi restano e nulla cambia. “L’uomo cambia, prendendo coscienza può pensare di andare avanti e cambiare la storia”.
Il teatro, invece, che cosa può fare? “Il teatro ha bisogno di urgenza e onestà, due parole borghesi e pericolose. – conclude Celestini – L’artista deve portare se stesso sul palcoscenico come uomo e come professionista e dire ciò che gli arde dentro. In teatro è tutto falso, ma c’è dentro tanta verità”.