TALK SHOW PER MARAT E SADE

Maresa Galli

Uno spettacolo culto degli anni Sessanta, Marat–Sade di Peter Weiss, apre la stagione dell’Elicantropo che resiste nonostante i tagli e soprattutto la svalutazione della “merce” cultura.

Carlo Cerciello non poteva trovare testo migliore per contrapporre alle sirene di un’epoca che ammalia con vuoto intrattenimento e ignobili modelli per i giovanissimi, una riflessione critica e dissacrante sul mondo della politica e dei grandi affari. Rappresentata per la prima volta nel ’64 allo Schiller Theater di Berlino, l’opera ha come ambientazione il manicomio di Charenton dove è rinchiuso il marchese de Sade che mette in scena, con i pazienti, la morte del rivoluzionario Jean-Paul Marat. Cerciello la ambienta in uno studio televisivo dove va in onda un talk show, ridondante, barocco, cinico e falso costruito per intrattenere e scongiurare il pericolo di un pensiero critico. “Preferiamo curare gli ideologizzati – dirà il presentatore – con l’arte e con la tv”, perché consentono di riflettere su quanto siamo fortunati oggi. Sullo schermo scorrono le immagini della Rivoluzione Francese e lo speaker e le due presentatrici, “bellina sciocchina” e “seria in carriera”, sottolineano quanto tutta questa storia sia accaduta in un altro secolo. La storia raccontata oggi è edulcorata, staccata dal tempo presente. Vengono riproposti stralci del discorso di Marat, che sembra un folle, sulle ingiustizie sociali, sul ruolo colpevole della chiesa, su principi e poeti asserviti – tutti contro il popolo, unico sovrano. Ma è storia vecchia, oggi non accade più. Un corpo, quello di Marat, è costretto sulla sedia a rotelle, ripiegato, sofferente; un altro corpo, quello di Sade, mostra la ricerca sfrenata del piacere. A confronto un rivoluzionario e un anarchico nichilista: l’anima esiste? Di quale chiesa parliamo, forse di quella che perpetua e asseconda il potere temporale? Una suora invasata prega affinché Satana ci liberi dal bene…

Tanta ironia per riportare al centro del dramma l’uomo contemporaneo, “’Na belva pazza”, come canta il neomelodico di turno. No, oggi non può succedere più niente del genere – “un mondo abietto, ma noi siamo altri uomini” -, anche se i nuovi ricchi manderanno in guerra il popolo per tutelare le proprie ricchezze. Come nei talk show di grido, il pubblico assiste a duetti canori, alle interviste televisive ai genitori di Marat che ci ricordano quelle odierne ai parenti di omicidi, uxoricidi, parricidi e quant’altro venga a soddisfare un voyeurismo malato, eterna visione che tutto banalizza e permette di accettare. Fantastico il karaoke finale nello studio televisivo con il coro su “e meno male che Bonaparte c’è”… Molto belli e ricercati i costumi di Sandra Banco e Flavia Fucito. La colonna sonora, tra musical e format, tritura Santana e Togni, l’opera e il blues, il rock e il rap fino alla musica napoletana.

Sempre più bravi i giovani attori del laboratorio dell’Elicantropo, perfetta la regia di Cerciello che dimostra la vitalità e, ahinoi, la modernità di un classico del Novecento. Chi invoca la legge è allontanato, chi parla di giustizia è ritenuto eversivo, chi pensa liberamente è considerato pazzo…

A sfumare, mentre il pubblico del talk show e del teatro va via, si liberano nell’aria le note di “Borghesia” di Lolli – un omaggio, un piccolo incitamento a resistere.

Un lavoro assolutamente da non perdere, in scena fino al 19 dicembre.

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