Il Teatro cerca Casa presenta La solitudine si deve fuggire, testo scritto e diretto da Manlio Santanelli, interpretato con maestria da Federica Aiello. Per questa riedizione il drammaturgo inserisce stacchi musicali. Il monologo racconta una storia paradossale che vede protagonista la professoressa Eufemia di Frattocchie, che saluta il pubblico canticchiando “la solitudine si deve fuggire” per poi presentarsi. Si sa, se viene meno l’educazione il paese se ne va a… Patrasso! Eufemia è una “pentita d’amore”, matura professoressa di Storia dell’Arte al liceo Plinio Stazio, insegnante e “signorina” per tutti. E come avrebbe potuto convolare a nozze senza proposte apprezzabili? Ed ecco che il destino sta per cambiare: recatasi in gita scolastica al Museo etrusco di Frattocchie (che coincidenza!) si ritrova alle prese con la maestosa bellezza della statua di un Apollo. Il dio emana un’aria ultraterrena e sembra elevarsi oltre lo spazio circostante. Fulminata, anzi no, in estasi come Santa Teresa, sente prepotente il desiderio di accarezzarlo. Turisti neanche a parlarne: mancano giapponesi, tedeschi e quei pochi italiani soliti visitare i musei… La mano di Eufemia assume vita propria e scende sulla statua, una mano “ribelle, anarchica, extraparlamentare…”. All’improvviso si stacca la parte prominente dell’Apollo e non le rimane che nasconderla e andare via senza dare nell’occhio.
Inizia una serie di amare considerazioni sulla giustizia, con la paura di essere scoperta, con l’infruttuoso colloquio con il professore di religione, e ripensa alla sua educazione dalle Orsoline che ne hanno fatto una signorina all’antica. Per il non casuale pezzo dell’Apollo troverà spazio adeguato in una preziosa teca per riporlo, infine, su un cuscino di broccato rosso, da tenere accanto nel letto chiedendosi se sia peccato…
La storia, come sempre surreale nella spiazzante lettura di Santanelli, è costruita con sapiente ironia per raccontare una solitudine spaventosa, paradossale, che sconfina nel folle, nell’onirico e nell’allucinato. Colpevole del vandalismo involontario la repressione, l’educazione religiosa, lo stigma sociale che condiziona tutta una vita. Magnifica pagina del teatro dell’assurdo santanelliano capace come pochi di sondare tutte le pieghe dell’animo umano, le sue im-possibili vie di fuga e di salvezza. L’idea del monologo nacque all’Autore dopo gli atti di “visigotismo”, ossia gli infierimenti sulle opere d’arte, compulsivi, “dettati da patologica insofferenza per la bellezza”, in questo caso dagli hooligans olandesi che a Roma danneggiarono la Fontana della Barcaccia del Bernini. La solitudine estrema, il vuoto culturale, le costrizioni autoimplodono per restituire parte della felicità che ognuno merita nel suo piccolo angolo di mondo. Se in una dimensione onirica poco importa.