Fulvio Iannucci

Redazione

Prima autore televisivo, poi copywriter per la pubblicità. Dal 2000 lavora come documentarista, mentre dal 2009 realizza cartoni animati. Fulvio Iannucci, è anche docente di Tecniche della comunicazione pubblicitaria nel corso di laurea in Comunicazione pubblica e d’impresa del Suor Orsola Benincasa.

Parliamo della attività e dei progetti in campo cinematografico

“Vorrei poter continuare a fare lo sceneggiatore, ma trovo molto più lavoro come regista. Quindi, faccio il regista”.

Sta lavorando a un film d’animazione.

“Boys & Girls è una Web series di 25 episodi da 3 minuti ciascuno, finalizzata alla promozione di stili di vita sani presso gli adolescenti, non occupati né impegnati in programmi di studio, risiedenti nell’Unione Europea”.

Quale messaggio intende trasmettere al pubblico?

 “L’intenzione è quella di creare storie facilmente riconoscibili e fruibili dai ragazzi in tutte le culture dell’UE. Per questo, si è scelto di fare appello ai bisogni/desideri, che sono universali – sia positivi sia negativi – in particolare quelli di maggiore interesse per il target (prendendo in considerazione il fattore età e non quello culturale): il bisogno di accettazione da parte di terzi, la necessità di costruire una buona considerazione di sé e la propensione verso un futuro da realizzare. Per dare al prodotto la possibilità di essere quanto più trasversale possibile ai diversi paesi (Comunitari e, perché no, extra Comunitari) si sono fatte alcune scelte di semplificazione. La più importante è relativa ai dialoghi: abbiamo sviluppato un nuovo “format linguistico” che prevede l’assenza di veri e propri dialoghi; si tratta di un linguaggio emozionale “universale”, fatto di suoni e segni”.

Perché ha scelto di dedicarsi ai film d’animazione?

 “Ero stanco di litigare con artisti e maestranze e ho pensato che era il caso di occuparmi di cartoons: è molto più difficile litigare con paperi, topi ed elefanti. Scherzi a parte, quello del cartoon è un settore molto vivo e vitale, sempre pieno di sorprese, nel quale si vede letteralmente nascere e plasmarsi un personaggio. In questo senso è molto difficile non cadere nell’errore di innamorarsi dei propri progetti, ma in fin dei conti è l’amore che mettiamo in quel che facciamo a renderli grandi”.

Sta lavorando anche ad altri progetti?

“Attualmente ho sviluppato, assieme ad altri collaboratori, un nuovo format, il Docucartoon, principalmente utilizzato per prodotti educativi – alcuni già distribuiti grazie a partner quali il quotidiano “Il Mattino”,  l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte e la Regione Campania, altri in lavorazione e altri ancora in fase di elaborazione – ma assolutamente flessibile ed adattabile a diversi contenuti. In più abbiamo in cantiere un progetto dal gusto un po’ retrò; si tratta di un cartoon poliziesco dalle tinte noir ambientato a Napoli, e un altro progetto di animazione per l’Unione Europea dedicato a ragazzini in età preadolescenziale”.

Nel realizzare un film è possibile trovare un valido compromesso tra un’autentica opera d’arte e un’operazione di marketing che sia anche di successo?

“Tutto sta nel capire cosa si intenda per opera d’arte. A parer mio un’opera d’arte è qualcosa che emoziona, che prende; se qualcosa emoziona, automaticamente piace e se piace trova un suo mercato e vende. L’importante quindi è capire bene l’essenza del prodotto che si vuole realizzare; solo in questo modo sarà possibile distribuirlo attraverso i canali più adeguati e raggiungere il pubblico interessato”.

Che cosa “funziona” nel cinema odierno?

“Individuare cosa funziona e cosa non, è un discorso relativo; piuttosto credo in un cinema che insegni, che emozioni, che faccia riflettere e che racconti storie. Potrei dire, un “cinema dall’alto”, anziché un “cinema dal basso”.

Nel panorama cinematografico italiano e, in particolare, in quello napoletano quali potrebbero essere le prospettive future?

“Il cinema italiano, così come quello locale, soffre un po’ le dimensioni del mercato e la chiusura dell’ambiente (come per tutti gli ambiti fortemente settoriali); adesso però, a differenza di qualche anno fa, c’è molto più fermento, molti più cervelli, volti e talenti. Sono sicuro che scavando nel “sottobosco” urbano verrebbero fuori realtà molto interessanti. Il periodo storico, le evoluzioni tecnologiche, sociali, culturali ci immettono sulla strada di una maggiore libertà (di agire, di pensare, di muoverci) e la libertà è alla base di ogni forma di comunicazione. Non guasterebbe un maggiore supporto legislativo e, ovviamente, economico. Ma non mi riferisco ad un’ingerenza necessariamente pubblica”.

Da appassionato di cinema, quali crede che siano le differenze sostanziali tra il cinema italiano, quello francese e il cinema americano?

“Sono mondi totalmente diversi, forse paragonarli è impossibile: ciascuno ha il suo stile nel raccontare le storie e ci sono differenze sostanziali anche a livello di ideazione, realizzazione e produzione. Possiamo però provare a ipotizzare tre possibili modelli di consumo che li accomunano. Un primo modello (corrispondente al cinema ‘di consumo’) è il rispecchiamento: si va al cinema per riconoscersi, per vedere riflessa ma anche mitizzata la propria condizione generazionale e la propria storia. Un secondo modello (corrispondente al cinema ‘dell’apologo’) è la comprensione o, meglio, la comprensione ulteriore: si va al cinema per comprendere meglio il presente, per accumulare un capitale culturale che crei distinzione sociale, per appropriarsi di punti di vista inediti (non diffusi per esempio dalla televisione generalista) sulla realtà. Il terzo modello (che corrisponde al cinema ‘artistico’) è lo smarrimento: si va al cinema per perdersi, per smarrire le categorie usuali di giudizio, per fare esperienza di modalità narrative, discorsive e stilistiche differenti da quelle veicolate normalmente dai media”.

Ma lei tra i tre quale preferisce e qual è il film al quale è più legato?

“Personalmente adoro il cinema francese perché riesce a farci vedere la realtà nella sua crudezza, senza farcela odiare. Un cinema dove i racconti sono aperti, lasciando spazio alla speranza senza illudere; un cinema che è arte e intrattenimento, esposizione senza manipolazione, al servizio della storia ma mai contro lo spettatore: un esempio tra tutti, il bellissimo Angèle e Tony di Alix Delaporte. Il mio cuore, però, è legato a Effetto notte di François Truffaut: dopo aver visto quel film all’età di 13 anni decisi che “da grande” mi sarei guadagnato da vivere raccontando storie. E ci sono riuscito”.

Chiara Ricci

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