Anni Cinquanta: l’Italia del dopoguerra, ormai in ginocchio, tenta di rialzarsi in tutti i modi. Uno di questi, mandare i suoi uomini nelle miniere di Marcinelle, in Belgio. Ed è proprio lì, come la storia purtroppo ci insegna, che perderanno la vita ben 136 immigrati della Penisola. In questo momento storico inizia la commedia “Grisù, Giuseppe e Maria”, scritta dal romano Gianni Clementi presente in sala per la prima napoletana, in scena al Teatro Troisi dal 21 al 24 novembre 2024 e dal 29 novembre all’ 1 dicembre. In scena Francesco Procopio e Giancarlo Ratti, nei panni rispettivamente del sagrestano e di Don Ciro. Insieme a Loredana Piedimonte, Giosiano Felago e Carmen Landolfi, diretti da Pierluigi Iorio.
LA TRAMA
Su il sipario su una chiesa di Pozzuoli, nella quale si alterneranno in un’escalation comica intrecci amorosi, segreti, bugie. Sullo sfondo della tragedia di Marcinelle del ’56, si racconta in chiave ironica di usi e costumi di un’Italia ancora poco alfabetizzata, povera, preoccupata ancora della salvaguardia, talvolta cinica, “reputazione” delle donne. In scena subito Don Ciro, custode di scioccanti confessioni, e il suo strampalato e menomato sagrestano. La vitalità della storia è dunque continuamente alimentata dal rapporto conflittuale che Don Ciro ha con Vincenzo, il suo sagrestano. “La cui comicità, fa il paio con quella involontaria del parroco che s’immola, con carità cristiana, quale vittima di situazioni decisamente esilaranti”.
Come relazioni clandestine, tradimenti familiari, la nascita di un bimbo nero di una giovane donna sola che, con un escamotage del parroco, manterrà intatta la sua reputazione. Tanti temi importanti analizzati dunque in chiave completamente ironica. Sarà lo stesso Procopio, a fine spettacolo nel suo saluto al pubblico in sala, a esprimere la sua idea di teatro, come già anticipato nell’intervista ai microfoni di Notizie Teatrali: “Il teatro deve rappresentare il divertimento allo stato puro, ma deve sempre lasciare uno spunto di riflessione importante”.