Andrà in onda giovedì 17 agosto su Rai2 in seconda serata, Miseria e nobiltà. La celebre commedia di Eduardo Scarpetta ha offerto al regista Luciano Melchionna nuovi e diversi spunti di rappresentazione, che la trasformano e la rispettano nello stesso tempo. Adattato drammaturgicamente da lui con Lello Arena, il testo diventa un’opera moderna, che tocca temi contemporanei. Con Arena protagonista, recita una numerosa, affiatata compagnia.
Melchionna, perché ha scelto questo testo?
“Ricordo che in seguito al successo del mio adattamento teatrale e della mia regia di Parenti serpenti – il meraviglioso film di Monicelli – mi fu lanciata la sfida di questo ‘classico’ di Eduardo Scarpetta. Accettando con slancio, non immaginavo le difficoltà che avrei incontrato nel cercare di fare mio un testo che, per volontà dell’autore stesso, non doveva avere alcun approfondimento psicologico.
Doveva rimanere un’evoluzione delle maschere della commedia dell’arte, per capirci. Ecco, appunto: fin dove potevo spingere ancora questo capolavoro e portarlo nuovamente in scena di questi tempi? Decisi allora di provare a tradurlo personalmente in italiano, per comprenderne meglio la struttura”.

Su quale tema ha spinto di più?
“Tuffandomici dentro, ho cercato di amplificare la tematica della fame, così attuale purtroppo, senza tradire l’autore o le aspettative del pubblico. Una fame di tutto. Di cibo e di riscossa, di scalata sociale, di sopraffazione per pochezza, fame di denaro e di potere. Fame di sesso, di visibilità e di successo. Fame d’amore e di sapere. Fame di esistere. Insomma, di vivere, troppo spesso attraverso l’equivoco di un riscatto, cercato con i denti e con le unghie, da personaggi semplici e ingenui. Per questo, per contrasto, amaramente comici”.
Un testo nuovo, dunque, in lingua e non in vernacolo. Che regia ha immaginato?
“A quel punto, una volta tradotto e dopo aver lucidato le parole affinché risuonassero negli spettatori di oggi come nuove, appena scritte. Grazie alla forza dei contenuti e all’urgenza sempreverde dell’autore, ho avuto una delle visioni che in genere mi segnalano la giusta direzione quando affronto una regia.
Una discarica all’interno delle fondamenta di un palazzo abbandonato, dove i personaggi si muovono con naturalezza, noi esseri umani ci adattiamo a qualsiasi cosa (basta guardare il modo in cui ci stiamo riducendo, senza fare rivoluzioni ancora!). Costretti tra la ferraglia e l’immondizia come tanti ratti e blatte”.
Per questo è stata definita un’opera dark. E’ così?

“Un circo amaro, nero sì, indubbiamente dark. Anche quando nel secondo tempo appare più candido o esageratamente colorato. Un luogo, la miseria, da cui i ricchi attingono per i propri comodi, regalando in cambio i propri avanzi, lanciati dall’alto, nel recinto dei ‘maiali. Su quella ferraglia, con un colpo di scena ‘magico’, in sintonia con l’autore che parla del teatro come unico luogo dove ‘il miracolo è ancora possibile’, si scopre poi, improvvisamente, il palazzo nobile, il cui pavimento, costruito a vista, seppellisce quella condizione di miseria, ma non la cancella. Ci si appoggia sopra: la miseria è la base su cui poggia la ricchezza, infatti, succhiandone linfa, un cassetto che, tirato via, farebbe crollare tutta l’impalcatura”.
Che operazione ha compiuto, dunque, sull’originale?
“Trovata la mappa concettuale e fisica, ho iniziato a riadattare il testo, con l’aiuto di Lello, sfrondandolo e sostituendo mestieri e giri di parole con i corrispettivi della nostra attualità. Ma lasciando la possibilità di riconoscersi a tutti, in un afflato universale, senza circoscrivere e limitare il campo ad una mera contemporaneità”.
Un’esperienza condivisa sempre con la sua compagnia e i suoi collaboratori.
“E’ stato un viaggio bellissimo. Come il lavoro con i miei meravigliosi attori nel tirare fuori, fino in fondo, il loro compito di vettori, più che di personaggi, e le loro dinamiche conflittuali. Miseria ovunque ho trovato in questi esseri umani abbandonati a sé stessi, e costretti alla lotta per la sopravvivenza. Tanta miseria, umana e dunque nobile per davvero, con cui fare i conti tra una risata e l’altra, fino al lieto fine di una maggiore consapevolezza.
I costumi di Milla, tutti pastello prima e poi in bianco e nero, mi hanno aiutato molto a raccontare prima gli ‘abitanti’ del sottosuolo e poi i ‘circensi’, sfarzosi e rigidi, scomodi nei loro travestimenti. Così, a maggior ragione le rose donate alla prima ballerina del San Carlo spiccano allegramente come tante gocce di sangue rappreso e ben confezionato”.
Ha inserito anche un commento sonoro?
“Sì. La musica degli Stag, raffinata ed evocativa, mi ha regalato ulteriori ispirazioni, frutto di uno scambio continuo, anche non necessariamente verbale, con i mie preziosi collaboratori”.

Qualche anno dopo la rappresentazione, la sua Miseria e nobiltà approda alla televisione. E incuriosisce.
“Io credo che sarà molto interessante per gli spettatori questa versione in video. Invito davvero di cuore tutti a guardarlo, anche perché la regista Barbara Napolitano ha lavorato, con grande sensibilità, professionalità e creatività, per restituire attraverso il mezzo televisivo, lo spettacolo che aveva visto in teatro, e il risultato è davvero sorprendente”.
Melchionna, l’ultima curiosità: chi è oggi Feliciello?
“Ognuno potrà riconoscersi in uno o più personaggi, ma tutti noi, ne sono certo, non potremo fare a meno di sentirci, qua e là, un po’ ‘Felice Sciosciammocca’”.
(La foto di copertina è di Tommaso LePera)