Gioca su un meccanismo collaudato e sulla bravura degli attori Davide Sacco, puntando su una nota farsa, la “Francesca da Rimini” di Antonio Petito, per mettere in scena il suo pensiero sulla contemporaneità, sulla crisi sociale e dell’arte nel nostro Paese.
Il Grande Circo degli Incornati – ovvero come a causa di una cattiva gestione politica una tragedia diventa commedia va in scena al Teatro Sannazaro di Napoli, fino al 23 aprile, dopo la tournée romana, interpretato da Ilaria Ceci, Piero Grant, Matteo Mauriello, Francesco Russo, Eva Sabelli. Il gruppo di circensi è costretto a chiudere l’attività, per mancanza di fondi, sono già spariti leoni ed animali feroci, tristemente si salutano giocolieri e funamboli. Ma ecco che la Cultura ufficiale, rappresentata dall’Istituzione, pone una condizione: rappresentare la nota tragedia di Silvio Pellico “Francesca da Rimini” per ottenere i finanziamenti sperati.
Il conflitto, subito scatenatosi negli artisti, si risolve nell’accettare il compromesso e così, guidati dal direttore (perfetto nella parte Matteo Mauriello), gli ultimi rimasti tentano l’avventura. Naturalmente, dei circensi poco sanno di teatro e, utilizzando il linguaggio dei clown, le gag dei comici, mescolano la tragedia originale con la parodia petitiana, trasformando lo spettacolo in una commedia degli equivoci, che affonda a piene mani nel repertorio tradizionale partenopeo.
Nel gioco messo in atto dalla compagnia, emergono le tristi storie personali dei tre comprimari, una donna barbuta, un assistente nato brutto, un lanciatore di coltelli. Tre individui fragili e respinti dal perbenismo, che hanno trovato nel circo l’unico luogo che li ha resi liberi dai marchi di nascita.
La messinscena è vivace, con musiche di Sacco, Cantalamessa e Viviani eseguite dal vivo dai musicisti (Sossio Arciprete, Francesco Del Gaudio, Raimondo Esposito) che, come i circensi accolgono il pubblico all’ingresso e in platea, portandoli sotto un immaginario tendone (scene di Luigi Sacco), che si trasformerà in teatro e, infine, in luogo desolato, nel quale lo spettacolo non andrà in scena perché non risponde alle aspettative di sindaco e assessori. L’artista, incapace di fare altro, è costretto a questuare perfino una moneta. Così, inversamente a quanto recita il sottotitolo, la commedia si trasforma in tragedia, soprattutto per la Compagnia.
Uno spettacolo che allegramente porta alla ribalta una condizione reale, un acquerello sul mondo della cultura, che, seppure qui si esprime nella lingua napoletana, è specchio della situazione italiana.
Ed è strumento per Davide Sacco, regista di nuova generazione, di portare avanti il suo discorso sociale e d’impegno con l’entusiasmo tipico partenopeo che, piuttosto che subire e rinunciare, si rimbocca le mani e dimostra di esserci. Ancora, ancora e ancora.