Un grande team per raccontare il potere attraverso il microcosmo di un capo di Stato autoritario e cinico, disinteressato al bene pubblico quanto preoccupato dei propri affari economici e di letto.
Al teatro Nuovo di Napoli è in scena Il Presidente, ovvero ambizione odio nient’altro, la pièce di Thomas Bernhard diretta da Carlo Cerciello. Presentato da Teatro Elicantropo Anonima Romanzi, in collaborazione con Le Nuvole Teatro Stabile di Innovazione di Napoli, il lavoro si avvale di ottimi interpreti: Imma Villa, Paolo Coletta, Paola Boccanfuso, Cecilia Lupoli. Le scene sono a cura di Roberto Crea, i costumi di Daniela Ciancio e le luci di Cesare Accetta.
In città è tutto pronto per i funerali della scorta del premier, unico sopravvisuto all’attentato di matrice anarchica. Sono gli anni ’70, quelli della Baader-Meinhoff, e la moglie del presidente, una strepitosa Imma Villa capace di dare spessore a un personaggio frivolo, cinico, che incarna il peggio dei vizi della borghesia, si preoccupa solo di aver perso il proprio fedele cane. Parla, parla, parla, dall’alto di una piramide nera, una gabbia, irragiungibile metafora di segregazione di classe, di lotta tra potente e umile, tra padrone e schiavo, e frattanto martirizza la governante, umiliata, offesa, costretta a cambiarsi d’abito per rispetto al suo cane morto. Un lungo abito nero come per la ciarliera Winnie di Beckett, un abito che contiene e apre altre stanze. Quanto mai attuale, la pièce calza perfettamente a quest’epoca nella quale “soffia nei corridoi nostri contemporanei – afferma Cerciello – il vento freddo e mortale di un potere senza scrupoli e non ci sono oppositori di rilievo all’orizzonte, tanto da far apparire quasi romantico il gruppo anarchico della Baader Meinhoff. Per questo mi piace concludere, sul finale della morte del Presidente, fine cui ogni potere è comunque destinato, con le parole di Ulrike Meinhoff, monito tremendamente contemporaneo e lucido al potere e all’etica maschilista imperante in questo XXI secolo”.
Dopo il monologo la scena si apre sul bagno del presidente, e il colore si tramuta in un bianco accecante: immerso in una vasca trasparente il presidente, mentre il mondo va in fiamme, gioca con la sua amante, aspirante attricetta (o chissà, un giorno aspirante politica…). Una donna oggetto per provare la propria forza, l’ennesimo gioco del potere marcio e purulento fine a se stesso. Finale diverso per la storia nella quale le due donne in scena leggono una dichiarazione di Ulrike Meinhof, sotto processo in quegli anni, che sottolinea il netto rifiuto di sottostare al potere maschilista, ad ogni prevaricazione. I personaggi, grotteschi, sono letti in una chiave di umorismo nero, per coinvolgere/far partecipare il pubblico che troppo si è assuefatto alle bizze e alle atrocità del Potere ritenuto un male inevitabile. L’analisi politica dell’autore e di Cerciello invita al contrario a sbeffeggiare i potenti, i loro copioni sempre uguali, la fine annunciata. “Bisogna cancellare le sovvenzioni agli artisti, teste pensanti della società”, dice durante il suo sproloquio la moglie del presidente, ricordando quanto siano pericolosi gli studenti di filosofia e quelli di teologia… Soffre, perché probabilmente il figlio è un anarchico, perché il potere racchiude in sé i germi dell’autodistruzione.
Un ottimo lavoro per riflettere, per incazzarsi, per costruire un futuro diverso. La storia dovrebbe insegnare.