È notizia di questa settimana l’arresto in Germania, e anche qui da noi a Perugia c’è stato un fermato, di un vasto gruppo terroristico di estrema destra che pianificava addirittura un colpo di Stato al Bundestag, il Parlamento tedesco. Oltre a rievocare memorie di un passato inquietante a livello europeo, l’operazione della polizia fa riaffiorare i ricordi legati agli anni di piombo vissuti dal nostro Paese: la strategia della tensione che mirava a destabilizzare la fragile e ancora giovane democrazia italiana. A ridosso di quella stagione l’Italia visse nel ’69 un terribile caso di cronaca nera, che inizialmente lo si voleva legare – con vari depistaggi – agli ambienti omosessuali della pineta di Viareggio, rivelatosi poi di matrice politica e terroristica: il rapimento e omicidio del piccolo Ermanno Lavorini.
Il corpicino affondato nella sabbia toscana riemerge nello spettacolo andato in scena al Teatro Elicantropo di Napoli dall’8 all’11 dicembre, Il bambino con la bicicletta rossa, scritto e diretto da Giovanni Meola, e interpretato magistralmente dall’attore e regista Antimo Casertano. Il primo dei nove personaggi portati sul palco dell’Elicantropo nel debutto dell’Immacolata è proprio quello di Ermanno, ancora intento a pedalare sulla sua fiammante bici Aquila Rossa, che rimarrà bambino per sempre, eterno giovane, ingenuo e incapace di comprendere quella morte senza senso che a 12 anni lo privò di una vita ancora tutta da scoprire.
“Il figlio degli italiani”, come venne soprannominato all’epoca, colpì l’opinione pubblica e disturbò, di fatto, la quiete di quella seconda Belle Epoque vissuta in Italia col boom economico: un periodo di ripresa dopo gli orrori della seconda guerra mondiale per la piccola, media e alta borghesia, sconvolta da un fatto di sangue mai accaduto prima e sicuramente senza quella eco mediatica. La perdita dell’innocenza di una nazione (a patto che l’avesse ancora dopo il ventennio fascista e le avventure coloniali e belliche) passa attraverso una bolgia dantesca di molestatori playboy, becchini, marchettari, monarchici e nostalgici del regime, deviati nell’animo e nella psiche, in quella Pineta di Ponente che è selva oscura e velo di Maya allo stesso tempo.
La verità sul caso Lavorini impiegò quindici anni per trovare la luce, grazie al lavoro di un magistrato devoto ai “fatti” (come ripete, perentorio, Casertano che gli dà voce e timbro, come a ogni protagonista della pièce), e di giornalisti imperterriti del calibro di Marco Nozza, detto il “Pistarolo”: furono accertate le responsabilità di esponenti del Fronte Monarchico Giovanile, prodromi di un clima pesante che di lì a poco avrebbe lasciato una scia di morte e sangue nelle città italiane.
Sempre notevole il lavoro di Meola, che condensa in un’ora e mezzo un reportage immenso, e maiuscola la prova di Casertano, capace di passare dal Sindaco al Becchino, dal Ragazzino al Colonnello con un battito di ciglia e un ghigno tragico. Per tornare poi Bambino coi calzoncini corti.