
Dopo 23 anni torna la Manon Lescaut di Puccini al Teatro di San Carlo di Napoli, con il nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro Liceu di Barcellona e il Palau de las Arts de Valencia, per la regia di David Livermore, general manager e direttore artistico del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia. Dramma lirico in quattro atti, su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica, è tratto dal romanzo di Antoine-François Prévost L’histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut Torino, Teatro Regio, 1 Febbraio 1893 (versione rivista, Milano, Teatro alla Scala, 7 febbraio 1894). È il primo vero successo del giovane Puccini e suscita consenso unanime. Dal 15 al 21 giugno in scena l’opera con l’orchestra e il coro del San Carlo dirette dal maestro Daniel Oren, che vanta un legame consolidato con il teatro dopo il successo di Adriana Lecouvreur. Nel ruolo di Manon torna Maria Josè Siri, che si alterna con l’altrettanto brava Ainhoa Arteta, già applaudita interprete di un altro titolo pucciniano, Suor Angelica. Ambientata nell’anno in cui fu composta, nel 1893, l’opera è un lungo flashback con il bravo attore Lello Serao che ricorda i tempi duri di Ellis Island, isola per la quarantena degli immigrati che desideravano entrare negli Stati Uniti. L’uomo, ottantenne, vi torna nel 1854, anno nel quale la segregante struttura sta per essere smantellata e così iniziano i suoi ricordi. La storia è quella di Manon, che non sa scegliere tra l’amore dello studente Renato Des Grieux e quello del tesoriere Geronte di Ravoir, le cui ricchezze la sedurranno. Tuttavia Geronte la coglierà in flagrante con Des Grieux, denunciandola come prostituta e condannandola all’esilio negli Stati Uniti. Qui giungerà con Des Grieux morendo infine tra le sua braccia amate. Le scene sono magnificamente ideate ed elaborate dal regista Davide Livermore con Giò Forma, a cominciare dall’arrivo e dalla partenza della locomotiva a vapore che porta via i due giovani amanti, al piroscafo simbolo di dolorosa emigrazione.
I costumi di Giusi Giustino esaltano le diverse fasi della vita di Manon, dal primo atto nel quale è vestita con semplicità per sottolineare l’innocenza della fanciulla destinata alla vita monastica alla vestaglia dalla fodera dorata (seta oro sotto il velluto) come la brama di ricchezze della donna che sogna una vita di lussi. Così come ben rappresentato è il boudoir francese, virato sul rosso, in casa del ricco Geronte, di gran spirito libertino. L’ispirazione è giunta alla costumista da Toulouse-Lautrec, per poi mostrare la caduta, la povertà, il carcere che attendono Manon vestita di colori spenti – migrante tra migranti nella desolazione assoluta. Puccini rappresentò un deserto senz’acqua ma non ve ne sono in Louisiana, dunque Livermore immagina il deserto dell’anima. Nel deserto moriva l’adorata Manon tra le braccia del suo innamorato. Il deserto è ora una desolata corsia d’ospedale dove fugge via l’ultimo respiro vitale.

Paragonata dalla critica a Tristano e Isotta, l’opera rappresenta proprio una perfetta fusione di stile italiano e lezione wagneriana. Puccini rompe con il linguaggio del passato e proietta l’opera verso il nuovo secolo. Forte la temperatura emotiva dei personaggi, ben rappresentati dal cast vocale e dall’orchestra del San Carlo, la musica con funzione narrativa, la grande melodia, il finale travolgente.
A lungo applauditi gli interpreti: Manon Lescaut, Maria José Siri / Ainhoa Arteta, anche sensuale e raffinata interprete; Renato Des Grieux, Roberto Aronica / Murat Karahan; Lescaut, Alessandro Luongo; Geronte Ravoir, Carlo Striuli; Edmondo, Francesco Marsiglia / David Ferri Durà; un Musico, Monica Bacelli / Miriam Artiaco; il maestro di ballo, Cristiano Olivieri; un sergente degli arcieri, Angelo Nardinocchi; il comandante di marina, Costantino Finucci.
Ovazioni per il magnifico direttore Daniel Oren che ha traghettato il pubblico nelle passioni dell’opera pucciniana, nella sua potenza evocativa, esaltandone la dinamica e la modernità del linguaggio. Per Livermore Puccini ha creato solo partiture perfette inventando il cinema! Un regista che le stravolga può solo rovinarle – afferma. Il pubblico mostra di gradire la lettura moderna ma filologicamente fedele del capolavoro pucciniano.