Al Teatro Sala Assoli di Napoli, il 12 e 13 novembre 2024, in scena un’altra perla del Campania Teatro Festival: “Io sono un errore”, di Jan Fabre.
Il testo del drammaturgo e artista visivo belga, scritto trentasei anni fa, dal 2007 è stato messo in scena con diverse regie e versioni. La nuova versione dello spettacolo, composizione musicale di Alma Auer e la drammaturgia di Miet Martens, lighting design e tecnica di Wout Janssens, è interpretato da Irene Urciuoli in una grande prova di attrice/performer.
JAN FABRE
Disegnatore, scultore, musicista e regista teatrale, coreografo e scenografo fiammingo, classe ’58, attivo dagli anni Settanta, pone diversi linguaggi al servizio della sua arte. Scrive lavori teatrali dal 1975. Mette in scena “performance in tempo reale”, “installazioni viventi”, una recitazione “fisiologica” che trasferisce ai giovani artisti contemporanei. I suoi dialoghi sono in perfetta fusione con gli altri elementi scenici: danza, musica, opera, performance e improvvisazione.
“Io sono un errore” è considerato il manifesto dell’arte e della vita di Fabre vissute senza compromessi o ipocrisie. È anche un grande omaggio all’opera di due geni del ‘900, Luis Buñuel e Antonin Artaud.
LO SPETTACOLO
Il corpo di Irene Urciuolo, seduta su una sedia a ruote, è avvolto in un lenzuolo bianco, simbolico bozzolo, sudario, camice ospedaliero, pudore inimmaginabile per chi invece è sovraesposto, sfacciato, provocatorio. Mantricamente l’attrice ripete “Io sono un errore” perché è l’acerrima nemica di se stessa.
Sbagliata, diversa, non teme la morte, non ha alcun legame con la società contemporanea, odia la moda, alienata. “Sono sbagliata” – ripete al ritmo cadenzato di musica e suoni di metronomica precisione, disturbanti come il suo monologo.
“Io sono un errore perché sono un alveare, perché sono orgogliosa, pomposa, sono un utero, perché non appartengo ad una razza, perché la vita interiore degli altri mi annoia, sono un animale pericoloso, sono una bastarda, sono un Dio”, confessa. E nel raccontarsi tossisce mentre prova continuamente ad accendere con voluttà sigarette proibite: ha il cancro alla gola. Ama la brace che fuma, il carbone, l’odore dei fiammiferi accesi, la nicotina che penetra nei polmoni. La sigaretta dà piacere ai cinque sensi, accendendo in lei un desiderio anarchico, inconciliabile con la vita.
Mentre parla e tossisce si trasforma, diventando creatura sensuale che desidera fino allo spasmo, fino all’autodistruzione. Non è falsa come gli altri e per lei le ipocrite regole della società non valgono. Si distingue, come provano articoli di quotidiani come quello del New York Time che la osanna come artista geniale, alter ego di Jan Fabre.
Sa di non poter contare sulla solidarietà perché non si preoccupa di ciò che dice o pensa. D’altronde è immortale, aristocratica e arrogante. Ultima ribellione, quella del corpo vissuto fino a consumarsi. Nessuna empatia è possibile ma neanche un giudizio per chi rivendica la morte della banalità e dell’appiattimento, costi quel che costi.
“Jan Fabre – rivela l’attrice – ci chiede di difendere la vulnerabilità della bellezza”.
Lunghi e meritati applausi del caloroso pubblico.