La Bibbia e Medea secondo la Liddell

Maresa Galli

Una scena (foto Luca Del Pia)

Scrittrice, regista, attrice, controversa, provocatrice, Angèlica Liddell non poteva mancare al Napoli Teatro Festival Italia dove ha presentato, in prima nazionale, al Teatro Politeama, “Genesis 6, 6-7”, terzo capitolo della sua “Trilogia dell’infinito”, (Esta breve tragedia della Carne, La Batie Geneve 2015; Que haré yo con esta espada, Festival di Avignone 2016), analisi della perdita e della riconquista della bellezza attraverso un atto violento e distruttivo. Vincitrice del Leone d’Argento per l’innovazione teatrale, la drammaturga catalana ha fan e detrattori in tutto il mondo. Colpisce con immagini forti, con spettacoli polisemici e spiazzanti per costringere ad una diversa riflessione sull’esistenza. “Non m’interessa la bestemmia, lo scandalo, la provocazione, m’interessa il sacro, la religione come ne parlava Bataille, qualcosa di sovversivo, estraneo alla vita calcolata della ragione, irrazionale e antisociale”, spiega. Il Sacro è un modo di restituire all’essere umano la coscienza dello spirito, strapparlo al totalitarismo materialista, per l’artista che ha attinto all’Antico Testamento per “Genesis” e dal mito di Medea (“tutto è santo, mitico, diceva Pasolini all’inizio della Medea”). Creare è trasgredire tutte le leggi che siamo costretti a rispettare, in primis non uccidere. Lo spettacolo inizia proprio con Dio che esprime la sua rabbia contro il mondo che ha creato e che vuole distruggere. E l’uomo e la donna, Adamo ed Eva, nudi e dipinti di rosso, figure archetipiche, si interrogano sulla materia e sulla spiritualità, sull’ordine e/o la necessità di sovvertimento dell’ordine per evolvere, per tornare allo spirito, da materia. Citazioni dal primo Libro della Torah del Tanakh ebraico e dalla Bibbia cristiana mostrano la forza dell’origine dell’universo, la forza della tragedia, tragedia del Cristianesimo con Cristo agnello sacrificale che fa scaturire dalla proprio sacrificio nuova Vita, Verità.

Una scena

Genesis apre con immagini filmate di una circoncisione ebraica e subito appare evidente quanto la vita sia legata al sangue, al dolore, all’annullamento per la resurrezione. Tanti personaggi animano simbolicamente l’universo umano: l’ebreo ortodosso nudo, due gemelle incinte (hanno in grembo i gemelli partoriti da Rebecca) che imbracciano chitarre elettriche e poi Kalashnikov (solo la guerra riporta all’origine, all’atto stesso della creazione), il sacrificio di Isacco, madri che impastano, il bimbo che mangia pezzi di pane (la Comunione), esseri deformi e tanti, troppi simboli che logorano. Le domande “Che quantità di antichità c’è in ognuna delle nostre nascite e in ogni morte? Che quantità di infinito e quanta eternità?” sono aperte. Troppi segni che stancano il pubblico pure attento alle sue attese provocazioni concettuali. Purtroppo il lavoro riesce solo a metà, nella grande ricerca delle fonti sacre per porre le eterne domande che assillano l’uomo, con l’inutile ricorso ad un linguaggio forte che non può, da solo, spiegare l’inspiegabile.

 

 

 

 

 

Categorie

Ultimi articoli

Social links

Notizie Teatrali © All rights reserved

Powered by Fancy Web