LA CRITICA PREMIA ARTURO CIRILLO

Angela Matassa

Vince per la seconda volta il Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Arturo Cirillo, attore e regista partenopeo, questa volta si è recato a Barletta per ritirare il riconoscimento per il suo ultimo lavoro: l’Otello di Shakespeare, rappresentato al Mercadante di Napoli, in cui  interpretava Jago.

Che effetto ti fa?

“Sono contento e gratificato perché i critici hanno premiato l’operazione complessiva, cioè anche la bella traduzione di Patrizia Cavalli”.

Con L’avaro aprirai la prossima stagione dello Stabile. Te la vedrai dunque, con un altro grande classico: Molière. Come lo affronterà?

L’avaro più di altri testi ha la capacità di parlare all’oggi. Ed è attualissimo. Mette in critica i difetti nazionali e, dato il momento che stiamo vivendo, imposterò la regia sull’ossessione legata al denaro, all’economia che regola le politiche europee, che devia perfino i rapporti familiari, in cui i soldi diventano più importanti dei figli, sono quasi una presenza tangibile, l’ostentazione della ricchezza diventa un’essenza. Immagino il caveau di una banca marmoreo come una tomba e la scenografia sarà un po’ kafkiana”.

Per l’estate nel tuo carnet ci sono la danza contemporanea e l’opera lirica. Linguaggi completamente diversi.

“Per la danza è la mia prima esperienza registica, anche se ho cominciato così la mia formazione. Lo spettacolo s’intitola Ballo sport e debutta il 23 giugno all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Si tratta di una parte di una trilogia dell’ottocento, ne ho fatto una rilettura, inventando quattro storie di ragazzi che si muovono in un gioco di attrazione e competizione sportiva, mettendo insieme le coreografie di Adriano Borriello, Ismael Ivo, Michela Lucenti, Wayne Mc Gregor, Anna Rita Pasculli, Michele Pogliani, Roberto Zappalà”.

La lirica è invece un ritorno.

“E’ la seconda volta che mi cimento con il melodramma.  Ho realizzato due anni fa L’Alidoro con la Pietà dei Turchini: un successo in dvd, lavoro premiato in Francia”.

Dopo Viviani, Petito e Scarpetta, torni alla drammaturgia napoletana con Eduardo De Filippo.

“Desideravo da tempo di mettere in scena piuttosto Natale in casa Cupiello, mi è capitato invece la splendida occasione di realizzare Napoli milionaria in versione lirica. Non potevo certo perderla”.

Debutterete  al Festival della Valle dell’Itria, a Martina Franca, il 15 luglio. Che operazione hai compiuto?

“Sono partito dal testo teatrale e non dal libretto. Immagino la scena come una grande stanza, quasi terra di nessuno, che muta continuamente: a volte è una trincea per richiamare la guerra, non più quella mondiale, quanto piuttosto quella degli anni di piombo come ritenne lo stesso autore nell’unica messinscena da lui diretta a Spoleto nel ’77. A volte è un prato fiorito, a volte ricorda un balletto di Pina Bausch. Ci saranno anche molte madonne: punto sulla religiosità esasperata in stile Almodovar, amplificandone l’apparente e ipocrita devozione”.

Le musiche sono di Nino Rota. In che stile sono pensate?

“A tratti è un musical, un varietà con luci che si accendono e si spengono, oppure riporta echi pucciniani”.

E c’è anche un Ruccello da rappresentare a Parigi.

“Porterò Jennifer a Pigalle: il tempio del travestitismo. Con Monica Piseddu sarò al Theatre de la Ville con Le cinque rose di Jennifer il 24 giugno”.

 

 

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