La follia del potere

Maresa Galli

Felice esordio di stagione per il teatro stabile d’innovazione Galleria Toledo con il Riccardo III di Shakespeare, per la drammaturgia e regia di Laura Angiulli; protagonisti Giovanni Battaglia, Alessandra D’Elia, Stefano Jotti. Scene e costumi sono di Rosario Squillace, il disegno luci di Cesare Accetta. Uno dei lavori più lunghi di Shakespeare diviene uno studio a completamento della Trilogia del Male della Angiulli, presentata al Napoli Teatro Festival Italia, (Otello e Macbeth). “Ho sempre pensato – spiega la regista – che Shakespeare sia un autore di grande contemporaneità, non sono certo la prima a dirlo. Mi sembrava molto importante verificarne la potenza concettuale e la parola stessa con degli attori giovani. Ho sempre avvertito la necessità di una verifica in un ambito anche di minore professionalità, con attori meno scaltri ma capaci di portare la loro gioventù nella grande verità di questo teatro.

 Nel mio lavoro il racconto s’intreccia, i personaggi si osservano, si spiano, in una tecnica cinematografica, come una dissolvenza incrociata”. E il pubblico entra nel meccanismo teatrale, nella corte dove si consuma il Male, dove si perpetua l’eterno gioco al massacro del potere simbolizzato dalla corona. La tragedia inizia con il monologo di Riccardo, rancoroso e invidioso del fratello regnante Edoardo a causa della propria deformità, “plasmato da rozzi stampi e deforme, monco”. Così comincia a tramare per ascendere al trono, facendo rinchiudere il fratello George, che lo precede nella successione, nella Torre di Londra. In seguito sposa Lady Anne, la vedova di un Lancaster che ha ucciso, Edoardo di Westminster, il principe di Galles e racconta al pubblico: -“Prenderò per moglie la figlia più giovane di Warwick. Sì, le ho ucciso marito e padre, ma che importa?”. Scene di seduzioni e perversioni umane – la mente sedotta, fascinata dal male. Afferma la Regina Margherita: “Io avevo un Edoardo, finché un Riccardo non lo uccise; io avevo un Enrico, finché un Riccardo non lo uccise; tu avevi un Riccardo, finché un Riccardo non lo uccise”.

Un canovaccio ripetitivo, l’eterno scontro carnefice/vittima. Ambizioso, privo di scrupoli, diviene così “naturale” successore al trono di Edoardo IV, instaurando il regno del terrore con l’eliminazione di chiunque si frapponga tra lui e il potere assoluto (Lord Hastings, Edward, il suo precedente alleato Buckingham e sua moglie). Troppo sangue versato e qualcuno comincia a ricredersi sul suo operato. Deve affrontare in battaglia il conte di Richmond, Enrico VII d’Inghilterra, e la notte prima è tormentato dai lamenti dei fantasmi delle persone che ha ucciso che gridano “Dispera e muori!”. Nel finale tragico Riccardo mormora, ferito a morte da Richmond, tutta la vacuità del potere, la banalità del male con un “My Kingdom for a horse!”, il mio regno per un cavallo. Bravi gli attori giovani nel non facile lavoro trattato con rispetto del testo e scarnificato nella scenografia, essenziale, nei costumi austeri e moderni di uomini contemporanei. Una costruzione cinematografica per le scene e l’atmosfera che riporta alla memoria i grandi interpreti, da Laurence Olivier a Ian McKellen, da Al Pacino a Richard Dreyfuss, al teatrale Kevin Spacey per la regia di Sam Mendes. Scrive Peter Brook: “ Proprio come nei momenti delle grandi sfide della vita, iniziamo a credere di aver scoperto come fare, ma l’esperienza è sempre lì a ricordarci che quello che c’è, l’opera shakespeariana, va infinitamente e sempre al di là di quello che noi possiamo pensare”.

 

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