
Fu scritta da Gaetano Donizetti nel 1835 (su libretto di Salvatore Cammarano) proprio per il Teatro San Carlo di Napoli e torna nel più antico Lirico d’Italia dal 22 al 30 marzo: Lucia di Lammermoor, per la regia di Gianni Amelio (del 2012), ripresa da Michele Sorrentino Mangini. Sul podio, a dirigere Coro e Orchestra del Lirico, Stefano Ranzani. Firma le scene Nicola Rubertelli, i costumi Maurizio Millenotti (ripresi da Tiziano Musetti), le luci Pasquale Mari (riprese da Fiammetta Baldiserri). Il cast vocale è composto, nei tre ruoli principali, Lucia, Edgardo, Lord Ashton, rispettivamente dal soprano Maria Grazia Schiavo, dal tenore Saimir Pirgu, dal baritono Claudio Sgura.
In conferenza la sovrintendente, Rosanna Purchia, sottolinea il clima di semplicità e di familiarità che si respira nel Teatro, l’affetto che lega artisti che ritornano, come la Schiavo, soprano napoletano, lo scorso anno Violetta nella Traviata (in scena a fine aprile) e già in altre produzioni del Massimo. Il segretario artistico del Teatro, Francesco Andolfi e Lorenzo Amato, consulente alla direzione artistica, spiegano le novità di questa edizione dell’opera. “Questa ripresa della Lucia di Lammermoor è quella che Donizetti ha scritto e autografato con l’impiego della glassarmonica”. Lo strumento, inventato nella sua versione moderna nel 1761 da Benjamin Franklin, è composto da 37 calotte di vetro ed emette un suono particolare, che evoca la follia.
Stefano Ranzani, direttore d’orchestra, sfoga la sua amarezza contro ottuse politiche culturali. “L’opera, che è il nostro dna, grande scuola che si esporta in tutto il mondo, è a rischio così come tutta la cultura. Si spende tanto per il calcio e per certa tv che rimbecillisce, lobotomizza, mentre il teatro è vita: ci si indigna anche, si riflette, ci si emoziona. L’80 per cento della lirica è italiana e qui si viene a studiare, mentre oggi siamo solo uno dei tanti paesi che la producono. L’opera è testimonianza di vita reale quotidiana. Quante donne subiscono violenza ancora oggi? Tutti dovrebbero assistere a questo lavoro”.

Maria Grazia Schiavo (Lucia) è felice di reinterpretare “un ruolo che sento tantissimo. Ha richiesto uno studio nuovo della partitura e del personaggio, uno dei più ardui e ogni volta che lo interpreto provo sempre una sensazione nuova, è una continua scoperta. Mi rifaccio anche al testo del romanzo di Sir Walter Scott. Come compiere un viaggio, un tuffo in un mare profondo, e devo nuotare bene”. Saimir Pirgu (Edgardo), nato in Albania, che ha studiato in Italia (da “straniero italiano: amo questo Paese”, spiega), sottoscrive le parole di Ranzani: “stanno uccidendo la nostra anima perché contano sempre meno la cultura, la musica, l’opera”. Claudio Sgura (Enrico) afferma: “in questo ruolo, interpretato diverse volte, mi sento a mio agio. Importante nell’opera è emozionarsi e infondere emozioni”. E Pirgu, che ha già cantato al fianco dei soprani napoletani Carmen Giannattasio (La Traviata) e Rosa Feola (Rigoletto), spiega simpaticamente che vorrebbe interpretare qualche ruolo da baritono, meno buono e innamorato. Ultima parola al regista Michele Sorrentino Margini. “Spesso – afferma – si commette l’errore di voler modernizzare l’opera per coinvolgere di più il pubblico. Quello che conta, invece, è l’impatto emotivo. Amelio non ha riattualizzato la Lucia ambientandola magari a Casal di Principe. Si svolge in un 800 universale, quello di Mary Shelley, di Ivanhoe di Scott, e chiunque deve poterla decodificare. Si possono leggere il rapporto morboso di Enrico con Lucia, la figura totalmente pura di Edgardo, il ruolo dubbio della chiesa (l’arma del suicidio nelle tasche del prete…). Importante è infondere le proprie emozioni, comunicarle”, conclude il regista che lo scorso anno ha lavorato con Franco Dragone e che si augura che l’opera venga a goderla un pubblico diverso e sempre più ampio.