Il tema del disagio esistenziale e mentale è caro a Florian Zeller. La famiglia è descritta come un luogo opprimente, in cui i personaggi si allontanano, sono traditi o abbandonati. Così appare per la sua “Trilogia della famiglia”, da cui è stato tratto, nel 2012 una messinscena teatrale e nel 2022 lo splendido film “The father”, che ha guadagnato due premi Oscar. Mentre ora, il secondo tassello La madre diventa spettacolo teatrale anche in Italia.
La mére di Zeller (che debuttò a Parigi nel 2010) è in scena a Napoli, al Teatro San Ferdinando (dal 14 al 24 marzo 2024), diretto da Marcello Cotugno. In scena Lunetta Savino e Andrea Renzi protagonisti, e Niccolò Ferrero e Chiarastella Sorrentino.
Giusta la scenografia di Luigi Ferrigno, che crea un ambiente freddo e asettico, in linea con il senso di solitudine e patologia che dominano l’azione. Solo cinque porte sul fondo, un frigoriferi, un tavolo da pranzo e un grande specchio in alto che domina la scena.
LA STORIA
La madre, Anna, è tormentata dalla partenza del figlio, emancipatosi dalla famiglia, dal quale non riesce a staccarsi. Più lucido il padre che la invita ad accettare la situazione, giusta tappa di una sana crescita di ogni figlio. Ma lei non si rassegna, non accettando neanche la ragazza che ha scelto come compagna. Non soffre per l’allontanamento della figlia Sara che non ama, e conta i momenti di contatto col figlio, sempre più rari. A lui si è dedicata totalmente. Ha rinunciando a una vita propria, ad un lavoro, a un’amicizia.
Chiede aiuto, si dispera, “Sono sola. Mio figlio mi ha dimenticata”, ripete più volte, orma certa dei tradimenti del marito con la ragazza del figlio, e carica di un senso di abbandono. Immagina di poter uscire col figlio, tornato a casa dopo un litigio con la compagna, di andare a ballare con lui con un sensuale abito rosso, come fossero una coppia. Programmi che non si realizzeranno se non nei suoi folli sogni ad occhi aperti. E’ un gioco psicologico, un gioco al massacro che passa dal piano reale a quello inconscio, in un continuo alternarsi.
LA REGIA
La regia di Cotugno rende solo in parte questo senso di disfacimento fisico e mentale della donna, che ripete ossessivamente sempre le stesse cose, con continui e reiterati battibecchi con il marito, che a tratti suscitano la risata. La stessa scena si ripete più volte, come a voler esprimere lo sdoppiamento mentale di Anna o i possibili vari risvolti della situazione.
Importante anche il ruolo dei costumi di Alessandra Beneduce, speculari e leggermente diversi per le due/tre donne.Belli i giochi di luce di Pietro Sperduti, che separano i momenti dell’azione, interpretata magnificamente da tutti, che provoca un senso di angoscia crescente e che culmina nella deriva patologica, che nemmeno la rosa offerta dal figlio alla madre ricoverata, riesce ad affievolire.