Nella società di oggi, assolutamente materialista, in cui il verbo apparire rappresenta il principale imperativo categorico, è sicuramente disarmante che un film affronti il tema della religiosità. E’ questo il caso di Corpo Celeste, opera prima della regista Alice Rohrwacher, che in precedenza si è occupata esclusivamente di documentari e di montaggio.
La pellicola, presentata e accolta benevolmente al Festival del Cinema di Cannes 2011 nella Quinzane des Réalisateurs, è uscita nelle sale italiane alla fine del maggio scorso.
Marta (Yile Vianello) ha tredici anni e, dopo aver vissuto con la famiglia in Svizzera, è tornata a Reggio Calabria, la città dov’è nata; inizia subito a frequentare il corso di preparazione alla Cresima, non senza difficoltà. “Mi piaceva raccontare questo momento, perché spesso è una scelta [quella della Cresima] che dipende da fattori molto disparati come amicizie, parentele, e che poco riguardano un’acquisita maturità spirituale. – spiega la regista – Anche gli zii di Marta vedono nella Cresima non tanto un rito di passaggio, quanto un ottimo modo per farsi degli amici, e anche togliersi di mezzo un pensiero”.
E’ in questa occasione che Marta incontra Don Mario (Salvatore Cantalupo), un prete ambiguo che amministra la chiesa come se fosse una piccola azienda, e la catechista Santa che, per preparare i cresimandi, ricorre a metodi alquanto singolari come giochi e quiz, che richiamano ben note trasmissioni televisive. Per far colpo sui suoi superiori, Don Mario intende organizzare una Cresima nuova, quasi spettacolare, grazie all’arrivo di un “crocifisso figurativo” che sostituisca quello stilizzato al neon, che poco piace ai parrocchiani. “Da una parte c’è lo sforzo un po’ goffo di imitare la modernità, di presentarsi aggiornati per portare più giovani in chiesa. Ma al tempo stesso si invoca un ritorno all’antico, alla tradizione. – chiarisce Alice Rohrwacher – Don Mario, che pensa di trasformare in un ‘grande evento’ la semplice sostituzione di un crocifisso, esprime per me tutta la tenerezza di un disagio, la ‘nuova moda del vecchio’ che anima come una febbre la nostra epoca”.
Tuttavia, il contrasto tra modernità e arcaicità si riflette anche nel paesaggio, quello di Reggio Calabria, dilaniata da un’urbanizzazione selvaggia. “Avrebbe potuto essere una qualsiasi città dell’Italia, ciò che m’interessava era descrivere un luogo dell’anima”. E proprio in questo contesto di degrado urbano e spirituale, Marta si aggira per la città come un’aliena, sola e spaesata. Contrapponendosi alla rigidità e alla perdita di senso dei riti ecclesiastici, il personaggio di Marta, con la sua innocenza e autenticità, è di sicuro il più religioso del film. “La sua religiosità risiede non nelle certezze ma nelle domande di cui si fa portatrice e, soprattutto, nella volontà di trovare la propria strada attraverso l’esperienza nel mondo”.
Decisivo sarà l’incontro con un vecchio prete solitario, Don Lorenzo (Renato Carpentieri), che per la prima volta le leggerà alcuni passi del Vangelo. “Il vecchio le descrive Gesù non tanto come un santo dolce e buono, – conclude la regista – irraggiungibile nella sua perfezione celeste, ma come un uomo solo e furioso, più simile alla ferita della sua adolescenza che all’immagine edulcorata che si affaccia nei disegni del catechismo”. Marta, dunque, capisce che dovrà cercare la sua via non al di là del mondo ma attraverso il mondo, e come in una favola continua la sua ricerca.
Chiara Ricci
CORPO CELESTE
REGIA E SCENEGGIATURA: ALICE ROHRWACHER
CON: YILE VIANELLO, SALVATORE CANTALUPO, RENATO CARPENTIERI, ANITA CAPRIOLI, PASQUALINA SCUNCIA
DRAMMATICO, ITALIA, SVIZZERA, FRANCIA – 2011