“La valigia”: sul senso dell’emigrazione e della vita

Maresa Galli

 

Chi meglio di un giornalista-scrittore emigrato può raccontare “La valigia”? Morto nel 1990 non ancora cinquantenne, il russo Sergej Donatovič Dovlatov vide le sue opere pubblicate negli Stati Uniti e in Europa dopo il 1978, anno in cui emigrò a Vienna, e da lì a New York, dove raggiunse la moglie e la figlia, divenendo redattore del giornale “New American”. Prima di allora, i suoi romanzi erano circolati in Unione Sovietica come “samizdat”, copie clandestine.

Presentato da “Gli Ipocriti Melina Balsamo”, “La valigia. In viaggio con Dovlatov. Un torero squalificato”, il lavoro, tratto dall’eponimo libro di Dovlatov del 1986, qui nell’adattamento di Paola Rota, che firma anche la regia e di Giuseppe Battiston, è in scena al Teatro Nuovo di Napoli fino a domenica 26 febbraio 2023. Lo spettacolo si avvale dei costumi di Vanessa Sannino, della scena di Nicolas Bovey, delle luci di Andrea Violato, di suono e musica di Angelo Elle.

Giuseppe Battiston

Giuseppe Battiston/Dovlatov si racconta nei panni di un immaginario e insonne speaker radiofonico, che lancia la sua voce nell’etere notturno, scrittore costretto a lasciare l’amata/odiata Unione Sovietica per approdare, infine, negli Stati Uniti. Per caso, ritrova una valigia nascosta anni prima, che racchiude trentasei anni di vita in Russia, contenente dodici oggetti, tutti apparentemente insignificanti, ad ognuno dei quali corrisponde un ricordo, un incontro, un personaggio del suo passato. “Osservai la valigia vuota. Sul fondo Marx. In cima Brodskij. E tra loro la mia unica, inestimabile, irripetibile esistenza”, scrive Dovlatov che narra con sferzante ironia momenti di vita e personaggi che hanno attraversato il suo mondo. “Sono stato sempre attratto da gente deteriorata, schizofrenici, carogne”, rivela il protagonista del viaggio nella memoria che diffonde inquietudine e sa per certo che in America si può trovare di tutto, tranne la nostalgia. Ricorda gli anni vissuti a Leningrado, i suoi incontri con personaggi che si arrangiano nella disastrata quotidianità sovietica, come Fred, “virtuoso del mercato nero”, il direttore del giornale per il quale scrive, il regista di immaginarie resurrezioni di Pietro il Grande, la madre finta eroina terrorizzata dalla milizia, il soldato semplice che ama bere e fare a botte. Frase mantrica, ripetuta continuamente, è “la valigia siamo noi”, per ricordarci che la nostra vita è solo un granello di sabbia nell’oceano dell’infinito, in cui già il solo essere vivi è indice di qualità. Non sappiamo dove stiamo andando ma va tutto a meraviglia.

Magistrale interpretazione di Battiston che dà corpo e voce ai tanti personaggi di Dovlatov, che urlano al mondo la perdita di significato, il senso delle radici, la propria dignità, il sogno della libertà, tutti esuli e dissidenti della vita, beffarda e unica.

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