Cinema, letteratura e teatro si sono incontrati e intrecciati a più riprese da quando il romanzo La vita davanti a sé di Romain Gary (pseudonimo di Emile Ajar) fu pubblicato nel lontano 1975. Adattato per il cinema nel ‘77 per la prima volta, e nel 2021 con l’ultimo film di Edoardo Ponti (interpretato da “mamma” Sophia Loren e distribuito su Netflix), il bel testo dello scrittore francese è alla base del monologo di Silvio Orlando (vincitore del premio “Le Maschere del Teatro Italiano 2022”), che ha aperto la stagione del Teatro Nuovo di Napoli, giovedì 13 ottobre 2022. Un debutto salutato con grande affetto e calore del pubblico, accorso numeroso in sala per questa prima (le repliche ci saranno fino a domenica 16 ottobre) che cade anche nella giornata storica di avvio legislatura, con l’aula di Palazzo Madama presieduta per la prima volta da una senatrice a vita sopravvissuta ad Auschwitz, Liliana Segre.
L’anziana protagonista del libro di Gary, Madame Rosa, condivide infatti con la Segre proprio l’esperienza terribile del campo di sterminio tristemente famoso, e ricorre spesso il trauma della guerra nel ricordo affidato al piccolo Momò/Mohamed, ormai grande e “cresciuto” con gli occhi vispi e la voce tenera di Silvio Orlando. Presentato da Cardellino srl, lo spettacolo vede l’attore partenopeo (fresco di David di Donatello quest’anno e ancora in sala nell’ultimo di Paolo Virzì Siccità) in compagnia dell’Orchestra Terra Madre. La pensione di Madame Rosa, ex prostituta ebrea parigina del quartiere multietnico di Belleville, che in veneranda età si occupa dei pargoli messi al mondo dalle colleghe più giovani, svetta su scale e casupole impilate che fanno assomigliare la palazzina all’albero di una nave, circondata dalle lucine del circo d’infanzia di Momò, e con l’immancabile poltrona cantuccio in cui affonda la vecchia a ogni attacco di panico raccontato da Momò/Orlando.
L’attore napoletano, impegnato in un ruolo che sembra scritto appositamente per lui, è a suo completo agio con questo flusso di ricordi e di coscienza in cui ritorna fanciullo a ogni battito di ciglia, recuperando l’innocenza e la tenerezza tipica di un bambino alla continua ricerca dei genitori. Figlio di una prostituta come tutti i garçon sauvage mollati all’anziana Rosa, con tanto di vaglia mensile per il mantenimento, Momò riesce pian piano a ricomporre il puzzle della sua vita, scoprendo persino la sua vera età anagrafica e comprendendo il messaggio del finale toccante: “Bisogna voler bene”, la missione portata avanti da Madame Rosa almeno con lui fino all’ultimo respiro. Perché è pur sempre vero che, come recita il Talmud, “chi salva una vita, salva il mondo intero”.
(La foto di scena è di Salvatore Pastore)