L’arte, salvezza in un mondo ostile

Maresa Galli

Una scena (foto di Bepi Caroli)

Fino al 5 febbraio al Teatro Mercadante di Napoli Eros Pagni è il protagonista di Minetti, di Thomas Bernhard, nella versione italiana di Umberto Gandini, una produzione del Teatro Stabile di Genova, per la regia di Marco Sciaccaluga. La notte di San Silvestro l’anziano attore Minetti giunge in un hotel di Ostenda, convocato da un direttore di teatro che intende scritturarlo per mettere in scena Re Lear, il suo migliore spettacolo, da rappresentare con una maschera di Ensor.

“Minetti” è una favola romantica, onirica, scritta nel 1976, per portare l’attenzione sul mondo della finzione, dell’arte, che deve avere la forza di sopravvivere in un mondo ostile. Il Teatro è verità e inganno, poiché rappresenta la vita e insieme da essa distrae. “Noi facciamo continuamente una commedia”, spiega Minetti agli ospiti e al personale dell’albergo, un’intera esistenza spesa a servire l’arte drammatica, mostruosa struttura in cui siamo tutti imprigionati. La società è perennemente spaventata e l’attore che sceglie la via dell’arte è ferito a morte, disturbante, come l’arte, nella cui catastrofe occorre precipitare tutto. Il pubblico vuole divertirsi e invece va turbato, deve provare malessere, inquietudine. Oggi non esiste nessuno, si rammarica Minetti, che si ferisca a morte. Contro il pattume spirituale, la stupidità, l’arte diviene il berretto dello spirito. Tanto più elevata è l’arte tanto più è disgustato il pubblico… La falsificazione, nel teatro di Bernhard, diviene la speranza di demistificare un mondo pronto ad annientarci. Intellettuali, ipocondriaci, maniaci e folli, gli eroi drammatici dell’autore tedesco mostrano

Una scena (foto di Bepi Caroli)

l’impotenza, la fragilità dell’apparente libertà, senza catarsi. I suoi personaggi un po’ paradossali sono ispirati da Beckett e Pinter ma anche da Cechov e dalla letteratura russa. Nel suo magnifico teatro di parola i monologhi ripetitivi raccontano all’infinito le ossessioni, evocano un finale di partita. Chi meglio di Pagni poteva impersonare l’attore, colto, visionario, delirante lettore delle storture del mondo? Le sue parole cadono contro un muro di indifferenza, della signora in rosso persa nell’alcol, della ragazza che attende il fidanzato, chiusa nella sua musica ossessiva, nel suo mondo di plastica. Bernhard Theodor Henry Minetti è considerato uno dei più grandi attori tedeschi del dopoguerra, attore-feticcio di Thomas Bernhard che in omaggio alla sua bravura scrisse “Minetti, ritratto di un artista da vecchio”.

Quale metafora migliore del Teatro per raccontare la vita come artificio, l’arte come unica salvezza? Nel gelo invernale di Ostenda, con la neve che cade copiosa, ripudiato, sconfitto, il sogno di Minetti muore, come nel “Don Giovanni” di Horvàth. Ottima prova di attori, in maschera sul palcoscenico della vita ir-reale, ottima la regia, fantastico Pagni nel raccontare il vecchio attore che cerca di sopravvivere in un mondo grottesco che ha elevato la menzogna a cifra del reale.

 

 

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