“Caro Bosie, dopo una lunga e infruttuosa attesa mi sono deciso a scriverti, tanto per il tuo bene quanto per il mio, perché non mi piacerebbe pensare di aver trascorso due lunghi anni di prigione senza aver ricevuto neanche una sola riga da te, né alcuna notizia o messaggio, eccettuati quelli che mi hanno dato dolore. (…). Gli dei mi avevano dato quasi tutto. Avevo genio, un nome famoso, un’alta posizione sociale, un’intelligenza pronta e vivace, audacia intellettuale; facevo dell’arte una filosofia e della filosofia un’arte; cambiavo le menti degli uomini e i colori delle cose. Considerai l’arte la realtà suprema, la vita una semplice forma d’invenzione: risvegliai l’immaginazione del mio secolo tanto da crearmi attorno il mito e la leggenda”.
Dal carcere di Sua Maestà, Reading. Così scrive Oscar Wilde nel suo “De profundis”, lettera al suo giovane amante Bosie. Nel 1895 viene condannato per sodomia a due anni di carcere e lavori forzati, la pena più dura, punizione esemplare della ipocrita e repressiva società vittoriana. L’autore de “Il ritratto di Dorian Gray”, “Salomè”, “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, “Il ventaglio di Lady Windermere”, inventore degli irresistibili aforismi ancora oggi citati per l’intelligente ironia, il dandismo, la raffinatezza linguistica, l’anticonformismo elevato a sistema di vita.
Al teatro Il Primo di Napoli, Roberto Azzurro, interprete e regista de Il primo processo di Oscar Wilde, che ne cura anche il progetto, divide la scena con Pietro Pignatelli nel ruolo di Edward Carson. Massimiliano Palmese firma la drammaturgia del lavoro teatrale tratto dal libro di Paolo Orlandelli e Paolo Iorio. Si tratta della prima opera che presenta per intero gli atti del processo. Straordinaria prova d’attori che rendono la tensione del dibattimento senza mai un attimo di caduta. Lo spirito indomito, fiero, del più grande scrittore d’epoca vittoriana, esteta fin nell’anima, decadente come il suo Dorian, capace di dare una sonora lezione morale ai suoi persecutori, ne esce rafforzato. In realtà Wilde sarà distrutto dai tre processi subiti. Ricco, famoso, raffinato dandy, capace di influenzare il costume dell’epoca, ha la forza di andare fino in fondo nell’affermazione delle proprie convinzioni. Il processo in questione è intentato da lui stesso ai danni del Marchese di Queensberry che, dopo aver scoperto la relazione tra suo figlio Alfred e lo scrittore, gli rivolge accuse di “posare a sodomita”. Se vi è qualcosa di indecente, immorale, è il fuoco di fila di domande dell’avvocato Carson a Wilde sulle sue frequentazioni di giovanissimi ragazzi, ancor più disdicevole perché garzoni, marinai, valletti, stallieri, socialmente inferiori.
Straordinario Azzurro totalmente calato nella parte del grande artista colto, raffinato, egocentrico, beffardo, sfacciato e lucido mentitore, fustiga con i suoi aforismi. Non è immorale il suo amore per il giovane Bosie, Lord Alfred Douglas, ma il libro “Il prete e il chierichetto” in quanto scritto male… E taglia ogni possibile e vuota sciocchezza nell’affermare che non sa rispondere a prescindere dall’Arte… Due piani logici, due mondi agli antipodi e in mezzo tanto dolore. Ancora oggi il mondo intero ricorda il genio di Wilde.