E’ interprete, autore, regista ed è già considerato un grande attore. Premio Ubu nel 2019, candidato al David per Favolacce, Lino Musella rappresenta la nuova generazione di attori di qualità. Poliedrico è capace di passare da un ruolo a quell’opposto con un’apparente facilità, entrando nei panni di uomini buoni o “schifosi”, – per citare uno degli ultimi spettacoli – dall’autista all’intellettuale.
Lei è un artigiano della scena, avendo cominciato dal basso dei mestieri che stanno dietro il palcoscenico. Quando ha capito che la recitazione sarebbe stato il suo futuro?
“In modo semplice. E mi ritengo un fortunato. Innanzitutto vengo da una famiglia di cuore, direi, in cui tutti hanno sempre amato lavorare pur se in un contesto sociale difficoltoso. Ho riflettuto: giocare al calcio non mi piaceva, la scuola non mi entusiasmava, così ho studiato recitazione anche fuori Napoli, poi a quindici anni cominciai a frequentare i corsi di Guglielmo Guidi. Lì ho capito che quello era lo spazio nel quale amavo stare, ci passavo tanto tempo, ho imparato, studiato, fatto scuola. Ho appreso il modo antico di fare teatro, sentivo una tendenza che mi riportava lì. Mi piaceva guardare anche gli altri attori, era il gioco che faceva per me e confrontandomi con gli altri raccoglievo pareri positivi. Non ho più avuto dubbi”.
Oltre ai quelli che ha visto recitare, c’è un artista di riferimento per lei?
“Penso subito a Tonino Taiuti. Uomo dalla grande creatività, che ama mettersi in gioco, con il quale ho un rapporto professionale ma anche personale. Mi ha insegnato a stare con un piede nella tradizione e con l’altro nell’avanguardia”.
Avanguardia: una parola che oggi non ha quasi senso.
“Per mer sì, vuol dire avere uno sguardo che va oltre, che comprende una possibilità di rischio, certo, ma è molto stimolante. Di Tonino amo la capacità di avere sempre un vero rapporto con il pubblico. In Europa stanno nascendo altri linguaggi che si sovrappongono a questo modo, ma da noi così funziona bene”.
Lei ha già affrontato anche il cinema, lavorando con registi di altissimo livello, tra cui Sorrentino, De Rosa, De Angelis, Martone, Avati, Andò. Che rapporto ha con il set?
“Diverso. Innanzitutto ho avuto un approccio tardivo rispetto al teatro. Mi piace, ma è uno strumento sul quale sto ancora indagando. Il mezzo va sempre capito rispetto a sé, è un terreno più scivoloso. In un film l’occhio dello spettatore è guidato dal regista che sceglie cosa far guardare. Però, può dare la possibilità di vedere la capacità dell’interprete in ruoli molto diversi se per caso, come sta succedendo a me adesso, escono quasi contemporaneamente più pellicole”.
Parliamo di “The Night Writer – Giornale notturno”, sorta di diario di Jan Fabre, in scena in questi giorni al Teatro Sannazaro di Napoli, dopo la tournée.
“Ho dovuto riprenderlo, perché era pronto per il 2019, poi il fermo di questi anni. E’ stato difficile rientrarvi dopo la pausa. E’ un lavoro particolare, bizzarro, Jan Fabre ha visioni insolite, è capace di cose estreme. Questo testo è un gioco di doppi, di specchi con se stesso, una sorta di autoritratto, un ruolo apparentemente semplice ma in realtà la chiave sta nello spingere verso un’azione performativa. Devo affrontare la parte in senso soggettivo ma anche oggettivo, trovare l’equilibrio tra l’impersonare e il riferire le sue parole”.
I teatri ormai sono pieni e anche i giovani si sono avvicinati a quest’arte. Che ne pensa?
“Naturalmente sono molto contento. Durante la pandemia ho davvero temuto che la gente non avrebbe più frequentato le sale, invece non è stato così. Credo che l’arte contribuisca alla crescita delle persone e che fra tanta disperazione c’è chi si vuole salvare. Che poi i giovani si siano tanto avvicinati, fa solo ben sperare per il futuro”.
Il prossimo progetto?
“E’ televisivo, Dopo Gomorra, Liberi tutti e qualcos’altro farò parte del cast della serie intitolata Inchiostro contro piombo”.
(Lino Musella nella foto di Mario Spada)