Una bella sfida quella lanciata da Filippo Dini, che porta in scena al Teatro Bellini di Napoli Misery di William Goldman, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, nella traduzione di Francesco Bianchi. Cosa difficile, ma indispensabile per chi si accosta alla visione della messinscena teatrale, è dimenticare il film cult del 1990 passato alla storia.
Paul Sheldon, autore della saga in otto volumi della giovane Misery, resta coinvolto in un incidente sulla neve e creduto morto.

Fortuna (o sfortuna!) vuole che a trovarlo, prima che lo seppellisca la tormenta, è Annie Wilkes (Arianna Scommegna), sua “ammiratrice numero uno”, che riesce a trasportarlo a casa sua e a curarlo. Per il celebre scrittore comincia l’inferno, e con questo la salvezza.
Annie, donna molto disturbata, crede di poter trattenere con sé per sempre l’autore adorato e con lui Misery, suo personaggio letterario preferito.
Nell’ambiente claustrofobico di una camera da letto buia e opprimente, si dà dunque da fare per salvargli la vita in ogni modo. Ma tra mille alti e bassi, crisi di nervi e minacce, non si dimostra amorevole come crede, trasformandosi nella sua carceriera. Assolutamente dominante impone a Sheldon di modificare il finale del prossimo romanzo. E qui si percepisce la presenza del dèmone che accompagna il momento della creazione, che assale sia l’autore che il lettore. Come finirà? Entrambi aspettano che la storia si sviluppi e “decida” la chiusa.

Dell’intera storia, lo spettacolo ha una connotazione da thriller psicologico più che da dramma. Gli attori si esprimono al massimo, in una situazione, in cui la donna è quasi monologante, a tratti accorata, ma quasi sempre aggressiva anche nel linguaggio, severa, cinica e ingombrante. Laddove, l‘uomo è necessariamente sottomesso, completamente alla mercé della follia crescente di lei.
Aldo Ottobrino, nei panni dello scrittore, incarna bene il ruolo. Bella la scenografia rotante (di Laura Benzi), che conduce lo spettatore in ogni ambiente della casa, mostrandone la nudità e l’abbandono. Il silenzio e l’isolamento dal centro della città sono sottolineati dal gioco di luci (di Pasquale Mari), dalle musiche e effetti sonori (di Arturo Annecchino), il vento impetuoso, i lampi tipici dei paesi del Nord. Angoscianti e inquietanti. Terzo personaggio lo sceriffo, che indaga sulla scomparsa, interpretato da Carlo Orlando.
La regia non disdegna di soffermarsi su qualche momento che porta alla risata, evidenziando il comico che vive nel tragico, in vicende come questa. Un gioco al massacro, una gara tra carnefice e vittima, che porterà ad una conclusione non proprio prevedibile.
Molto attuale la trovata finale: un talk-show televisivo, in cui l’autore (portato in salvo, infine) presenta l’ultimo atto della saga.

Repliche fino a domenica 12 novembre.
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