Muore l’astro del jazz McCoy Tyner

Maresa Galli

Cercava una musica che rimanesse pura attraverso il tempo perché “noi musicisti siamo benedetti dal Cielo”: così si augurava McCoy Tyner e, di certo, la sua stella brillerà in eterno. Ci ha lasciato oggi, all’età di ottantuno anni. Pianista e compositore di gran talento, padre nobile del piano jazz contemporaneo, favoloso innovatore, Alfred McCoy Tyner suona dall’età di tredici anni, influenzato dalla madre e dall’ascolto dei grandi jazzisti.

La sua carriera inizia quando, ventenne, entra in formazione con il Jazztet di Benny Golson e Art Farmer. Tante session lo vedono al fianco di Freddie Hubbard, Joe Henderson, Wayne Shorter, Jackie McLean, Bobby Hutcherson ed altri artisti che incidono per la storica etichetta Blue Note. Nel 1960 entra a far parte del quartetto del sassofonista e compositore John Coltrane, “l’unico, vero innovatore”, dirà, sostituendo Steve Kuhn, incidendo con l’ensemble degli album capolavoro quali “A love supreme” e “My favorite things”, e ancora “Ascension”, “Ballads”, “Impressions”, “Meditation”. Era l’ultimo membro in vita del celebre quartetto, formato, oltre che da lui e da Coltrane, da Jim Garrison al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria. Come tutti i jazzisti, i quattro straordinari musicisti suonavano con diversi gruppi ma solo insieme hanno raggiunto le più alte vette compositive, nel massimo interplay e con grande libertà creativa. Armonia “quartale”, con sovrapposizione di intervalli di quarta anziché di terza, bebop, improvvisazioni modali e free jazz delle loro composizioni sconvolgeranno per sempre il jazz classico.

Troppa avanguardia, però, allontana Tyner dalle estreme arditezze di Coltrane che intreccerà la sua arte con quella di Miles Davis, spingendolo a proseguire, da bandleader, con un proprio trio, producendo dischi e componendo brani dal sapore asiatico e africano (nell’album “Sahara”, del 1972, Tyner suona oltre al piano, il koto, il flauto, e le percussioni). Il suo stile personale, brillante, il fraseggio melodico ne fanno un grande innovatore anche se era solito affermare: – “spero di aver creato qualcosa di nuovo ma esistono sempre nuove frontiere”. Pubblica con la Blue Note (“The Real McCoy”, “Tender Moments”, “Time for Tyner”, “Expansions”, “Extentions”), per la Milestone Records (“Sahara”, “Song of the new world”, “Enlightenment”), per la Impulse e la Telarc Records. Al fianco di musicisti del calibro di Sonny Rollins, Ron Carter, Stanley Clarke, suona però anche con giovani e valenti musicisti. Nel suo live del 2007, che diviene “Solo”, album pubblicato nel 2009, esprime il suo stile, unico, virtuoso, caldo, che lo riconferma tra i più influenti pianisti jazz al fianco di Herbie Hancock, Chick Corea e Bill Evans – tutti leggendari e unici. I jazzisti a venire gli sono debitori – per dirla con Coltrane, la loro “Love supreme”, è l’espressione dell’infinito in musica: sembra che non arrivi, con la sua monotonia salmodiante, in nessun punto preciso ma, paradossalmente, conduce ovunque.

Il jazz è, al contempo, grande musica di ensemble e celebrazione di solisti individuali, spesso unici come Tyner. Inarrivabili perché capaci di raccontare un’epoca e, al contempo, di raggiungere nuove frontiere scoprendo territori sonori inesplorati.

 

 

 

 

 

 

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