Nascita di un mito: Una pallottola per Roy

Alberto Tuzzi

Amnistiato dopo otto anni nel penitenziario di Chicago, Rot “Mad Dog” Earle (Humphrey Bogart) riprende i contatti con l’amico Big Mac (Donald McBride), partecipando poi ad una rapina, dall’esito catastrofico, in un albergo di Palm Spring. Respinto dalla giovane Velma (Joan Leslie) alla quale paga generosamente l’operazione per curarle il piede, Roy fugge con Maria (Ida Lupino), una ballerina innamorata di Roy, sulle montagne della Sierra Nevada, dove, dopo aver messo al sicuro Marie alla fine è accerchiato e ucciso dalla polizia.

Sceneggiato da John Huston e William Riley Burnett, autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto, “Una pallottola per Roy” (High Sierra, Usa, 1941) di Raul Walsh è al confine tra genere gangsteristico e noir: se l’ambientazione e la trama sono da film gangster, con la fuga in spazi aperti e un finale da western tra le montagne, Roy, interpretato da Humphrey Bogart al suo primo ruolo da protagonista, presenta tutte le caratteristiche dell’anti-eroe del cinema noir, figura crepuscolare e solitaria, incapace di adattarsi a un mondo non più in sintonia con i suoi valori.

Locandina del film

Coerenti con la “filosofia” di Walsh sono, invece, il bisogno disperato e ossessivo di libertà alla base delle azioni di Roy e di Marie, angosciata e inconsciamente autodistruttiva, volto femminile della sconfitta, interpretata da una grande Ida Lupino, attrice di notevole sensibilità. Nei panni di Roy, per la prima volta al centro dell’azione dopo decine di film girati come figura laterale in film di gangster negli anni Trenta, Bogart dà vita, con piena convinzione, a un personaggio di loser alla vana ricerca della libertà: un gangster, perché altro non saprebbe essere, predestinato a non ottenere né la libertà né l’amore e a perdere la vita. Bogart diventa, alle soglie degli anni Quaranta, l’interprete ideale del bad hero in film dove gli schemi non sono più così netti e in cui emerge l’ambiguità del noir hollywoodiano.

Nella recitazione di Bogart ogni vitalismo è sostituito da un’amara disillusione, con il suo corpo che non ha più l’aggressiva fisicità tipica di un James Cagney ma esprime un disincanto più nervoso e intellettualizzato, che nasconde i suoi risvolti idealistici dietro una maschera da duro, armato di cinismo ed ironia. Raoul Walsh è tra i patriarchi del cinema americano, che hanno lavorato senza soste, senza mai pretendere il ruolo di autore né il nome in prima vista sui manifesti dei film girati.

Humphrey Bogart e Ida Lupino in una scena del film

Americano di origini irlandesi, Walsh nella sua lunga carriera si cimenta con maestria in tutti i generi (piratesco, western, bellico, gangster-movie), filtrati tutti dalla sua energia, dalla sua capacità di osservatore di psicologie infrante e di narratore di storie avvincenti di uomini in fuga. Con “Una pallottola per Roy”, epopea della solitudine, Walsh realizza un classico, nutrito della sua nostalgia di un rapporto più vero con la natura, in opposizione ai valori imposti da un’America borghese e cittadina, e contribuisce a creare il mito “Bogey”, destinato a diventare una delle icone del cinema hollywoodiano di tutti i tempi.

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