
(foto Marco Ghidelli)
Rilegge Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta. Arturo Cirillo continua il suo viaggio nei classici di tutti i tempi e Paesi, mettendo mano a una storia tanto divertente quanto celebre. Non badando a precedenti (grandi o meno), affronta la vicenda dello scrivano don Felice e del salassatore don Pasquale e la mette in scena in prima nazionale al Teatro San Ferdinando di Napoli, dal 21 dicembre all’8 gennaio 2017.
Fame, bisogno, vera miseria, falsa nobiltà. Tanti i temi – spiega il regista – ma quello che lo ha maggiormente colpito è quello della paternità. “La mancanza di cibo -afferma Cirillo – forse porta anche alla mancanza di affettività“. Ma, come tutti sanno, nel finale padri e figli si ritrovano, qui in un’ambientazione quasi onirica, tra fornelli e cose da mangiare.
Numerosa la compagnia che vede protagonista Tonino Taiuti, mentre il regista tiene per sè il ruolo di Gaetano. Con loro, Giovanni Ludeno (Pasquale), Milvia Marigliano (Luisella), Sabrina Scuccimarra (Concetta), Arturo Cirillo (Gaetano), Rosario Giglio (Marchese Ottavio Favetti e Giacchino Castiello), Gino De Luca (Luigino e Vicienzo), Giorgia Coco (Bettina), Valentina Curatoli (Gemma), Viviana Cangiano (Pupella), Christian Giroso (Eugenio), Roberto Capasso (Biase), Emanuele D’Errico (Peppeniello). Le scene sono di Dario Gessati; i costumi di Gianluca Falaschi; il disegno luci è di Mario Loprevite; le musiche sono di Francesco De Melis.
Rappresentazioni: 21, 23, 27, 28, 30 dic. e 3 gen. ore 21.00; 22, 29 dic. e 4 e 5 gen. ore 17.00; 25, 26 dic. e 7 gennaio ore 19.00; 1 e 8 gen. ore 18.00

(foto Marco Ghidelli)
“Miseria e nobiltà è un bellissimo testo. Come tutti i bellissimi testi dentro ci si trova di tutto, o almeno parecchio. Anche cose che non si pensavano, che erano sfuggite all’esperienza della lettura. È un testo brillante e violento, sentimentale e crudele. Ci senti il rapporto con la tradizione: la fame di Pulcinella e il drammone sentimentale, la famiglia e la condizione sociale, le maschere e i travestimenti, le beffe e gli apparenti lieti fine. La lingua è quella già incontrata in “Mettiteve a fa’ l’amore cu me!” un po’ di anni fa. Una lingua sincopata, onomatopeica, con cui il corpo ha a volte una vera e propria collusione”. In questo caleidoscopico contenitore, dei temi si sono affermati maggiormente. La fame, con tutto il suo generale apparato di pasti immaginari o reali, elencazioni di cibi, ex cuochi, accordi per pranzi e cene da ripetersi per anni. Altro tema che affiora prepotentemente, quasi da sè, è la paternità. La storia ci ha raccontato di come due importanti famiglie teatrali si siano create e divise in relazione al non riconoscimento da parte di Eduardo Scarpetta dei suoi figli illegittimi. E forse vi è anche un significato ulteriore nel fatto che proprio questo testo sia stato, per tradizione, il terreno di debutto dei figli d’arte, con il padre capocomico che presentava al mondo del teatro il figlio, nei ruoli rispettivamente di Don Felice e Peppiniello. Paternità che si rincorrono fino alla fine, dove il litigio tra padre e figlio del primo atto trova una sua pacificazione e accettazione nel terzo. Una vecchia famiglia si ricrea, dopo che ci si è ritrovati sotto travestite spoglie e divise di servitù. E poi c’è la vera miseria e la finta nobiltà, vera perché la fame non è effimera, non è eterea ma è concreta e materica. La nobiltà al contrario è apparenza, “albagia”, come un sogno. “Miseria e nobiltà” è un bellissimo testo e questa del San Ferdinando è una bellissima compagnia”
Arturo Cirillo