
Virginia e sua zia, monologo di Manlio Santanelli, diventa un’operetta. E’ l’operazione compiuta dal giovane regista partenopeo Davide Sacco che la mette in scena domani (31 luglio) in prima nazionale a Villa Bruno a San Giorgio a Cremano. Accostando Santanelli a Raffaele Viviani, dà vita a una messinscena originale con musiche. Il ventiquattrenne regista, che sta riscuotendo grande successo con il suo lavoro in chiave punk su “Condannato a morte” di Victor Hugo, prima dello spettacolo, aprirà l’incontro con il pubblico conun percorso sulla drammaturgia, sulla poetica e il pensiero di Manlio Santanelli, intitolato “Divagar cortese”, che teatralizzerà gli interi spazi di Villa Bruno, con le atmosfere musicali tratte da Raffaele Viviani.
Davide, che ambientazione hai immaginato per questa tua idea?
“Una messinscena atemporale, in cui gli Anni Ottanta sono solo uno spunto per i costumi. Non ho pensato alla dimensione spaziotemporale, ho puntato sulla solitudine, sulla cattiveria, sul cinismo che essa crea nell’uomo. Non c’è ambientazione precisa, non è necessario, ci sono sensazioni più che periodi”.
Hai trasformato “Virginia e sua zia” in un’operetta. A chi hai affidato le musiche?
“A Marco Zurzolo che ha arrangiato e rielaborato le composizioni di Viviani. Tra i brani ci sono “Tarantella segreta” e “Bambenella”. Danzano sulle note grammaticali di Santanelli”.
In che senso?
“E’ proprio questa la caratteristica del lavoro. Il ritmo è nel testo. Trovo la scrittura di Manlio Santanelli molto musicale, lui riesce a fondere l’estetica della parola e il virtuosismo letterario e poi cade a tempo nella battuta. Sto costruendo un rapporto ritmico tra lui e il grande Viviani”.
Oltre alla drammaturgia hai utilizzato anche i racconti di Santanelli?
“Ho lavorato molto sui racconti, che lui narra in terza persona. Per lo spettacolo ho cercato di fare un gioco di sottrazione. Sto tentando di portare avanti una ricerca”.
“Virginia e sua zia”, dunque, non finisce qui?
“No. Per realizzare un percorso bisogna mettersi continuamente in discussione, il che può modificare le cose. La ricerca dà vita a qualcosa che si forma ma che crescerà e si modificherà con il tempo. E’ quanto già successo con Hugo. Non mi piace pensare a uno spettacolo, che muoia una volta andato in scena, tutto può continuare, evolversi, cambiare”.
Ed è un lavoro che fai da solo?
“Non sarebbe possibile. Qualunque opera presuppone la partecipazione di molte componenti, scenografi, tecnici, musicisti, spettatori, critici. Il teatro è di tutti, e tutto migliora ascoltando il parere di ciascuno”.
Questo spettacolo torna sul palcoscenico venticinque anni dopo la prima rappresentazione, interpretato dalla madre Gina Perna, che anche allora vestiva i panni della protagonista. Che effetto fa, Gina?

“Considero Davide un professionista e fin dal primo momento è stato solo il regista. Tornare a “Virginia” mi dà una profonda emozione, è una riscoperta, perché lui è giovane e ha idee nuove”.
E per Davide, che vuol dire lavorare con lei?
“Per me non è la mamma in questo caso: il rapporto è lo stesso che con qualsiasi altro attore. La differenza è che la conosco molto bene, posso quindi utilizzare al meglio le sue capacità”.
Lo spettacolo tornerà in scena nella prossima stagione a Napoli, al Teatro Sancarluccio.
“Sì, e se a San Giorgio ho organizzato un percorso per le strade con i ragazzi che ho seguito nel laboratorio teatrale organizzato per il San Giorgio Teatro Festival, per l’occasione napoletana sto già pensando a una sorpresa”.