Sulla scena non è più Tonino Cardamone, ma il protagonista di una vera e propria commedia. Paolo Caiazzo, beniamino del pubblico televisivo di “Buldozzer”, “Quelli che il calcio”, “Colorado Café” ritorna alla prosa per la seconda volta con L’occasione fa l’uomo padre che ha scritto con Francesco Addeo e diretto. E’ in scena all’Augusteo fino al 21 novembre.
Paolo, di che cosa si parla nei due atti?
“C’è più di un tema di attualità. La crisi dell’uomo di mezza età che non vuole invecchiare. L’incontro-scontro tra due generazioni, e c’è la presenza di un trans (interpretato da Ornella Varchetta) fra i personaggi”.
La storia, in breve.
“Dino Ascione, un commercialista quarantacinquenne, trascorre un weekend nella dolce vita caprese per un motivo di lavoro. Qui s’innamora di un’attrice ventenne, perde la testa e la lucidità. Il conflitto arriva quando, per caso, incontra la figlia, frutto di un amore passato, che ha la stessa età dell’amante. Si creano quindi situazioni imbarazzanti, lui combina guai da cui scaturiscono l’intreccio e la comicità. Mi diverto a lavorare su un amarcord, metto sulla scena oggetti d’epoca, l’Idrolitina, per esempio, e il tormentone tipico dei genitori: “ai tempi miei…”; c’è un po’ di satira politica, sociale e molta ironia”.
Un teatro leggero, insomma, spesso attaccato e criticato.
“Credo che chi giudica dovrebbe prima vedere. E’ la qualità che conta, qualsiasi cosa si faccia. Come me, anche altri, sono nati come cabarettisti, perché è questa l’epoca, ma poi sono passati al teatro, lavorandoci seriamente. Io non rinnego niente di quello che ho fatto, spesso è il pubblico che chiede di vedere certe cose e se capita faccio pure l’one man show. La mia generazione di comici napoletani ha dimostrato che ha delle cose da dire. Un attore deve conoscere tutti i linguaggi, solo così può esibirsi in generi diversi. Abbiamo bisogno di essere sostenuti non criticati”.
C’è separazione tra Nord e Sud? Voi meridionali vivete ancora una sorta di discriminazione?
“C’è piuttosto una differenza di gusti: si ride di cose diverse e poiché il centro nevralgico della televisione è a Milano, spesso ci spostiamo. Ma, se ci imitano anche nel dialetto vuol dire che la nostra comicità funziona ovunque”.
Dunque, sei soddisfatto della sua carriera?
“Non posso proprio lamentarmi, lavoro divertendomi e cerco di far divertire. Però sono ipercritico, innanzitutto nei miei confronti e mi metto in discussione come autore, come attore e come regista. A questo punto della carriera mi piace raccontar storie”.
Oltre alla nuova commedia, quali progetti hai?
“Riprenderemo la tournée dello spettacolo della scorsa stagione, “Tesoro, non è come credi”, con Maria Mazza, con la quale saremo a Napoli al Totò a marzo”.
Solo teatro, dunque, come mai?
“Forse perché si fa cattiva televisione e la gente preferisce uscire a vedere spettacoli migliori, forse cerca i propri beniamini dal vivo”.
Allora hanno ragione quelli che dicono che il palcoscenico è diventato televisione?
“Non credo proprio. Non tutti gli artisti che passano dall’una all’altro sono accolti bene e apprezzati: il pubblico è molto severo in questo”.
Ma a quale maestro della comicità t’ispiri?
“Cerco di non scimmiottare né di imitare i grandi. Naturalmente amo e ho nel sangue il grande Totò: ha inventato già tutto, noi ci illudiamo soltanto di creare cose nuove. In questo spettacolo gli rendo omaggio e lo faccio rivivere con qualche citazione. Apprezzo, però, anche Massimo Troisi e non solo perché siamo nati entrambi a San Giorgio a Cremano. Mi piace la comicità garbata, far ridere senza trascendere”.