Parthenope è il titolo del nuovo film di Paolo Sorrentino, in concorso all’ultimo Festival di Cannes, e della sua magnetica protagonista. Non è la prima volta che Sorrentino si confronta con Napoli (l’aveva già fatto col suo esordio L’uomo in più e con È stata la mano di Dio), e nemmeno con alcuni degli attori del cast, anche stranieri, ma è sicuramente la prima pellicola che segue una storia tutta femminile.
L’INCIPIT
A dispetto del titolo di questo lungometraggio e del nome dato alla bimba a inizio film, Parthenope non è una creatura mitologica, bensì fatta di carne, pensieri e di una bellezza travolgente. Folgorante l’incipit nelle acque del Golfo di Napoli con la carrozza giunta direttamente da Versailles per l’armatore Achille Lauro: un regalo che sa di culla regale per la fanciulla.
Parthenope nasce nel mare come Venere/Afrodite, cresce in fretta e appare subito come un sogno, avvolta in un lenzuolo come un’ancella o una menade, e talvolta ricorda la Lolita di Kubrick, quando legge sulla terrazza di Posillipo. La vediamo infatti subito diciottenne iscritta all’università, alle prese col primo esame di Antropologia e col suo futuro relatore di tesi, il professore interpretato da Silvio Orlando, magnifico quando recita in sottrazione.
UNA NAPOLETANA INTERPRETATA DA UNA MILANESE
Parthenope ha sempre la risposta pronta, la battuta giusta, è sfrontata, ribelle e anche un po’ spavalda, e possiede una femminilità moderna, in anticipo sui tempi, perché consapevole, emancipata ed estremamente curiosa. (Intensa e dolente l’attrice milanese che le dà l’acqua della vita nel film, Celeste Dalla Porta, prima della magistrale Stefania Sandrelli nel finale).
Una donna forte e di spessore, dalla grande personalità, che forse ragiona da uomo grazie alla penna che le ha dato forma nella sceneggiatura. Sorrentino l’ha ritratta come con uno dei suoi tanti personaggi maschili fin dalla prima inquadratura, e Parthenope potrebbe essere benissimo una sorella, cugina o figlia di Jep Gambardella: a modo suo, una nuova grande bellezza.
LA GRANDE BELLEZZA DI PARTHENOPE
La Grande Bellezza di Napoli abbaglia lo spettatore, dal mare che vibra e pulsa con le sue onde come un personaggio, ai faraglioni di Capri dove si consuma l’evento tragico che influenza la vicenda umana della ragazza. A buttarsi in mare per la disperazione nel mito era la sirena Parthenope, respinta da Ulisse, ma qui a disperarsi è il fragile fratello della ragazza, forse innamorato di lei come l’amico.
Tutti vogliono un pezzo di questa “ninfa plebea” (per citare Domenico Rea), dai magnati sull’isola azzurra agli sguardi sul lungomare durante il corteo funebre fermato dai furgoncini disinfettanti anticolera, o nel corso delle passeggiate in kayak. Solo il maiuscolo premio Oscar Gary Oldman, scrittore gay attempato, rinuncerebbe a sottrarre del tempo alla sua giovinezza malinconica e pensosa.
CITAZIONI E PERSONAGGI
Insolitamente lineare rispetto al magmatismo dei suoi film più famosi, però meno compatto del precedente La Mano di Dio, Parthenope è un affascinante viaggio nella visione sorrentiniana, come sempre ricca di citazioni felliniane: le donne del cortile, lo squallore volgare, i titoli di coda con la navicella dei festeggiamenti per lo scudetto 2023, qui amplificate dall’ambientazione napoletana verace.
Estrema la scena di sesso davanti alle famiglie criminali del centro storico, quasi da performance art. E, forse di dubbio gusto, quella nella Cappella (presunta) del Tesoro di San Gennaro indossato dalla ragazza (ovviamente falso sul suo corpo da odalisca), col cardinale Tesorone (bravissimo Peppe Lanzetta), degno della corte dei Borgia per i suoi costumi neopagani. Superba la diva Greta Cool (una Luisa Ranieri simile alla Loren) che prende tutti a pesci in faccia sulla nave da crociera, prima di perdere la chioma e la dignità.