
“C’era una volta un artista al crocevia del mondo. Era proprio come se la cultura fosse pronta a piegarsi ai suoi desideri o addirittura ai suoi capricci. Egli era il Folk e anche un profeta”. Così scriveva Greil Marcus in “Invisible Republic – Bob Dylan’s Basement Tapes”. Il giorno più triste per la perdita di Dario Fo è insieme quello più felice: il 13 ottobre 2016, con l’assegnazione del Premio Nobel al menestrello di Duluth che dagli anni ’60 ha raccontato l’America, il costume, gli anni caldi della contestazione, l’orrore della guerra, la forza dell’amore, il futuro impossibile, il mondo occidentale piegato al capitalismo consumistico ed egoistico.
Il Nobel per la Letteratura 2016 è andato a Bob Dylan per aver “creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”. Da tempo si mormorava del Nobel a Dylan al quale fu già candidato vent’anni fa. Il primo a suggerirne la candidatura fu il professore Gordon Ball, docente di letteratura dell’Università della Virginia, nel settembre del ‘96. Ball affermò che Dylan era stato proposto “per l’influenza che le sue canzoni e le sue liriche hanno avuto in tutto il mondo, elevando la musica a forma poetica contemporanea”. A quella prima candidatura se ne aggiunsero altre caldeggiate da docenti americani di importanti università e da Allen Ginsberg. L’autore di “Masters of War”, “Blowing in the Wind”, “The Times They are a-Changin’” e altre pietre miliari nella storia della canzone mondiale, è il primo americano dai tempi di Toni Morrison nel ’93 ad essere premiato e da oggi è scolpito al fianco di Saul Bellow, John Steinbeck e Ernest Hemingway. Meritatamente, naturalmente, possiamo e dobbiamo dire nonostante gli assurdi detrattori.
Non nuovo ai riconoscimenti più importanti in campo musicale e per le sue liriche, vere e proprie poesie inarrivabili a detta anche dei suoi ammiratori di tutto il mondo, musicisti che da anni si ispirano alla sua poetica, Dylan è stato già insignito del Grammy Award, del Polar Music Prize, equivalente del Nobel nel campo musicale, il Premio Oscar nel 2000 e il Golden Globe per la canzone “Things Have Changed”, dalla colonna sonora del film “Wonder Boys”, il Pulitzer nel 2008 “per il valore poetico delle sue canzoni”. E ancora la National Medal of Arts e la Presidential Medal of Freedom nel 2012: tutti ricordano l’emozionante momento nel quale Obama cinge Dylan con la medaglia della Libertà, salutandolo come uno dei suoi poeti preferiti. Sara Danius, segretaria permanente dell’Accademia Svedese che assegna il Nobel, spiega che non si è trattato di un atto rivoluzionario. “Se si guarda indietro a 2500 anni fa – spiega – s’incontrano poeti come Omero o Saffo che scrissero testi che dovevano essere interpretati o ascoltati anche con l’accompagnamento di strumenti musicali. Lo stesso accade con Bob Dylan. Noi leggiamo ancora Omero e Saffo e ci piacciono, anche Dylan può e dovrebbe essere letto oggi, perché è un grande poeta”. Eppure fior di scrittori trovano fuori luogo il riconoscimento, cavillando su ciò che è o non è letteratura o poesia. Fantastico invece che oggi venga riconosciuto il talento di un artista che ha rotto tutte le regole, la forma-canzone classica, le rime, le banalità, innalzando il gergo degli degli hipsters in una lingua poetica. “Con quel gergo – scrive la mai troppo compianta Nanda Pivano – aiutò Ginsberg a togliere la poesia dalle Accademie e come una specie di Omero del Ventesimo Secolo la restituì alle masse, con l’aiuto dei jukeboxes che altri poeti non ebbero a disposizione”. Dice di lui Joan Baez che ha scritto canzoni forti come poesie e forti come musica, “e, Dio mio, come sa cantare!”.
La biografia di Dylan è nelle sue canzoni e tutti i musicisti a venire gli sono debitori. Sono legata a lui da tanti anni e per me, come per milioni di persone, credo, è stato fonte di ispirazione. A dodici anni ascoltai le sue canzoni più famose e ne rimasi incantata, affascinata dalla sua voce roca e dalle sue ballate raccontate con armonica e chitarra. Ho assistito ai suoi intensi, unici concerti (tutti sempre diversi, impossibile farsi dare prima una scaletta) a Napoli nel 2001 e a Paestum nel 2006. Capace di rinnovarsi sempre, Dylan rimane un personaggio schivo, che ha in odio sviolinate e salamelecchi, fosse anche, anzi proprio, ai grandi della Terra. Le sue canzoni parleranno di lui anche negli anni a venire prendendosi la rivincita sulla piccola gente che lo vorrebbe relegare “solo” al ruolo di songwriter, mentre la sua melodia è perfettamente fusa nei mirabili versi specchio della sua anima.