Pontrandolfo: il fascino delle sonorità popolari

Angela Matassa

La passione per il canto è nata con lei. Fin da bambina Caterina Pontrandolfo si faceva affasciare dalle voci della sua regione, la Basilicata, ricca di tradizioni e di memorie popolari. Innata la passione per il teatro. “Un caso fortuito” – dice lei – la portò a Roma per un provino con la Compagnia Modugno-Angelillo, che superò. Aveva diciassette anni. Partita dopo il liceo da Potenza per Milano, matura la decisione di fare delle sue passioni un mestiere. Comincia una seria preparazione, con diverse realtà, con il Teatro Officina, l’Accademia Paolo Grassi, con i maestri del teatro di Barcellona. Poi la consapevolezza di voler tornare a cantare il patrimonio orale della sua terra, riportare il soffio delle antiche melodie. E’ stata definita “la Callas del canto popolare”.

Caterina, che cosa accadde?

“Grazie alla Discoteca di Stato, scoprii un materiale straordinario, ascoltai i canti della mietitura, conobbi i riti: mi si aprì un mondo. Mi sentii chiamata da queste sonorità antiche che bene s’innestavano sulla mia voce. Da li nacque il filone nel quale ancora lavoro e ricerco”.

Ha trovato rapporti e contatti con i Paesi del Mediterraneo?

“Sì, ho scoperto la continuità delle tradizioni orali delle comunità agro-pastorali del Mediterraneo, siamo un unico popolo sotto questo aspetto. La centralità del mondo femminile: un vero e proprio albero di canto, una genealogia di melodie. Dalle ninne-nanne, ai canti che segnano il ciclo della vita e della natura, alla dimensione sacra e religiosa. Le comunità agro-pastorali del Mediterraneo sono state comunità in questo senso, le donne autentiche voci di trasmissione della storia orale giunte fino a noi”.

Il canto si è poi unito al teatro.

“Ho cominciato a realizzare spettacoli nel tentativo di mettere in gioco questi segni, in cui il canto è protagonista poiché i testi sono evocati e riportano segni e simboli delle collettività. Ho raccolto un ricco materiale, tra interviste, racconti, testimonianze. Mi piace restituire queste visioni di ricami e corredi pazientemente lavorati dalle mani abili delle donne. Per me rappresentano veri e propri “testi”, “racconti”, un angolo di concentrazione e silenzio, da cui può sorgere il canto”.

Anche per lei questo è l’angolo che dedica a se stessa?

“Direi piuttosto che è un luogo, uno spazio di bellezza e riflessione, ma anche scomodo. Da una parte, vedo il collegamento con le origini dell’umanità, da generazione in generazione. Dall’altra, mi sento spinta in avanti per indagare sulle cose che abbiamo smarrito”.

Ma che cos’altro è cantare per lei?

Caterina Pontrandolfo

“E’ una dimensione umana, in cui sembra impossibile fare del male a un altro essere vivente, permette di oltrepassare se stessi. E’ corpo e sua assenza, slanciandosi oltre la corporeità, il canto permette di esaltare le belle qualità umane, è un concentrato di amore, fa vivere in armonia. Si riesce a provare un innegabile senso di felicità”.

Non ha eseguito molto della Campania. Come mai?

“Ho lavorato in diversi progetti a Napoli, con lo Stabile, con Galleria Toledo, in molte produzioni del Napoli Teatro Festival. Un’occasione mancata con Luigi De Filippo, che rimpiango di non aver colto per tempo. Ma il bilancio è senz’altro positivo, certamente affronterò il grande patrimonio campano che continuo a studiare, magari diretta da Giancarlo Sepe, regista con cui ho avuto la fortuna di lavorare e che una volta mi accostò alla grande Concetta Barra”.

I suoi spettacoli hanno una caratteristica: si realizzano spesso in spazi alternativi. Perché?

“Alcuni progetti nascono con le comunità del territorio e diventa perciò ovvio il contatto diretto con l’ambiente. Altri sono adatti alla culla del teatro. Ma in realtà, prediligo la natura, la luce, rianimare luoghi un po’ dimenticati”.

Lei è un fiume in piena. Progetti futuri?

“La seconda edizione della rassegna Il Paese Abitato a San Martino d’Agri, un progetto elaborato, ricerca, laboratori con gli abitanti, narrazioni, sempre elemento centrale è il canto. La preparazione di un libro, un progetto musicale lungo l’asse lucano-calabrese-campano. Un lavoro sulle musiche e sulla figura di Santa Ildegarda di Bingen con alcune voci liriche, sempre secondo l’idea che mi contraddistingue di messa in scena del canto, per il mese di marzo uno spettacolo teatrale e musicale su Clara Wieck Schumann. Ma le idee sono tante”.

 

 

 

 

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