Marco Bellocchio non è uno che le manda a dire e il suo ultimo film, Rapito, ne è la dimostrazione. Il suo cinema da sempre rappresenta un atto di accusa nei confronti del potere, della Chiesa, della moralità cattolica e di quelle “consorterie di sinistra” che gli negarono il Leone d’Oro – a suo avviso – per Buongiorno, Notte 20 anni fa.
Presentato all’ultimo Festival di Cannes in concorso, Rapito avrebbe meritato una chance sulla Croisette e pure una maggiore considerazione nella short list dei film italiani da candidare all’Oscar.
Del resto il caso Mortara, di cui la pellicola si occupa, ricevette una eco internazionale senza pari nell’800, scatenando la disapprovazione antipapista più forte in Europa dai tempi della Riforma Protestante. E persino oltreoceano, con tanto di vignette satiriche e attacchi anticlericali sulla stampa.
Il titolo fa riferimento al bambino letteralmente “rapito”, per ordine del Papa, a una famiglia di ebrei bolognesi. Il motivo risiedeva nel battesimo somministrato da una serva al piccolo, quando era in pericolo di vita, che di fatto lo rendeva cristiano agli occhi di Dio e di Santa Romana Chiesa.
Edgardo Mortara fu quindi strappato alla famiglia e “deportato” a Roma, dove crebbe come cristiano e fu ordinato poi persino sacerdote. La scena del rapimento sul grande schermo non è poi così dissimile dai rastrellamenti antisemiti che hanno serpeggiato, a secoli alterni, nel Vecchio Continente.
I genitori non si diedero pace e a nulla valse la mobilitazione dell’opinione pubblica estera e italiana, in piena epoca risorgimentale. Nemmeno il passaggio della Romagna al Regno d’Italia servì a riscattare la perdita di un figlio col cambio di regime. E la breccia di Porta Pia arrivò troppo tardi per consentire il ritorno a casa del piccolo Edgardo, ormai adulto.
Una casa che gli era stata promessa all’inizio della sua “detenzione” come la Terra omonima degli israeliti, a patto che fosse battezzato per la seconda volta e accettasse, a suon di preghiere e ricatti, il credo cattolico in pieno. Nella Bologna liberata dal Papa Re il giovane Mortara alla fine accorse al capezzale della madre ebrea morente, interpretata dalla straordinaria Barbara Ronchi.
Viso sempre pallido ed emaciato, consunto dal tempo e dal dolore incalcolabile, la Ronchi ha vinto un sacrosanto David di Donatello quest’anno (per l’opera prima Settembre) come migliore attrice protagonista.
Ma sono stati Nastri d’Argento e Ciak d’Oro ad averla incoronata per questo film in cui dà una prova maiuscola e toccante. La scena del rifiuto del battesimo, che il figlio plagiato e perduto tentò di darle in punta di morte per convertirla, vale il biglietto del film.
Fanatismo religioso e violenza psicologica compongono il perfetto j’accuse che Bellocchio scaglia contro il potere pontificio. Una compagine statale plurimillenaria, ex erede dell’Impero Romano, del Patrimonio di San Pietro e dell’antico Esarcato Bizantino, precipitato nel XIX secolo in pieno declino politico dopo la parentesi napoleonica.
Lo Stato della Chiesa nell’Ottocento in fondo era un vero e proprio ectoplasma, tenuto in vita “clinicamente” solo da Francia e Austria – Ungheria, gli imperi più cattolici d’Europa nel gioco di influenze esercitato sulla Penisola (la Spagna era già uscita da tempo dal novero delle grandi potenze).
Rapito, passato in sala a maggio scorso, andrebbe recuperato in rassegna o sulle piattaforme. E per chi si trovasse a Napoli il 7 e 8 novembre c’è l’opportunità di assistere alla proiezione in sala al cinema Pierrot di Ponticelli, primo appuntamento del cineforum di ArciMovie.